La notizia dello sciopero dei benzinai sta facendo il giro del web

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petrolioPompe di benzina chiuse in strade e autostrade su tutto il territorio nazionale per 48 ore. Il risultato sul principale di motore di ricerca, Google, dà 1.340.000 risultati per “sciopero dei benzinai 2019”. I telegiornali e le agenzie di stampa stanno rilanciando la notizia e il tema sta monopolizzando l’agenda dei media: questo ci spinge a una riflessione sul paradigma di mobilità su cui poggia la nostra società, dove l’interruzione dell’erogazione di benzina e diesel per due giorni diventa motivo di forte preoccupazione.

Lo sciopero è stato proclamato dai sindacati di categoria dei benzinai – Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc/Anisa Confcommercio – che invitano tutti i gestori ad aderire alla chiusura “per provare ad invertire una tendenza che ha come obiettivo la scomparsa della categoria: dalla fatturazione elettronica, all’introduzione degli ISA, che risultano fortemente penalizzanti per i gestori carburanti (che percepiscono un margine che non supera il 2% del prezzo pagato dagli automobilisti), ai registratori di cassa telematici per fatturati di 2 mila euro l’anno, all’introduzione di Documenti di trasporto (Das) e modalità di registrazione giornaliera, in formato elettronico, da digitalizzare a mano: tutti adempimenti inutili fatti per scaricare sull’ultimo anello della filiera, il più debole, oneri e costi e finanche provvedimenti penali per errori formali”.

Intanto, tra i pochi gestori rimasti aperti, c’è già chi ne ha approfittato per alzare il prezzo: in provincia di Bergamo si registrano aumenti fino a 1,99 euro al litro per la benzina (rispetto a una media di 1,488 euro) e in tutta Italia si stanno verificando code per cercare di fare rifornimento e non rimanere a secco. In un Paese come il nostro, dove il tasso di motorizzazione è tra i più alti d’Europa, questo sciopero mette a nudo la fragilità di un sistema di trasporto squilibrato che, dagli Anni Sessanta del secolo scorso in poi, ha privilegiato la diffusione incontrollata delle automobili in ogni dove, rendendo di fatto impossibile lo sviluppo di un modello alternativo di mobilità basata su trasporto pubblico locale, ciclabilità e pedonalizzazioni dei centri urbani.

Probabilmente se la benzina arrivasse a costare di più – come è avvenuto con le sigarette – molte persone che hanno comprato un’auto in 72 comode rate e pensano realmente di pagarla solo “199 euro al mese” comincerebbero a farsi due conti e capirebbero che il gioco non vale la candela, che possedere un bene mobile che sta immobile per circa il 95% del suo tempo di vita e si deprezza subito del 22% appena uscito dal concessionario (e perde costantemente valore nel tempo, ndr) non è un buon investimento. Già adesso il possesso di un’auto drena circa un terzo del reddito familiare disponibile: i costi occulti dell’auto, tenuti così ben nascosti dagli spot a motore, si materializzano sugli estratti conto ma ormai vengono visti come una spesa necessaria, anzi indispensabile. In un Paese con un paradigma di mobilità più vario e meno autocentrico lo sciopero dei benzinai non farebbe notizia: l’abuso degli spostamenti in auto in Italia ha prodotto un cortocircuito in cui diventa difficile anche pensare di poter fare a meno dell’auto.

Alle 6 del mattino di venerdì 8 novembre – dopo 48 ore di stop – le pompe di benzina torneranno a funzionare, forse con un ritocco verso l’alto di qualche centesimo al litro: magari qualcuno rimasto a secco avrà sperimentato l’ebbrezza di andare a piedi per 1 chilometro, in bici per 5 o in autobus per 10 per rendersi conto che le distanze quotidiane non sono poi così abissali da coprire e con i mezzi alternativi all’auto si arriva prima e si risparmia. Sarebbe meglio pensarci fin da subito, senza aspettare il prossimo sciopero dei benzinai.

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