La tecnologia ha cambiato irreversibilmente la nostra percezione di ciò che davvero utile e prezioso
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Qualunque informazione è disponibile a nostro piacimento, sempre e dovunque. Basta digitare sullo smartphone una sola parola chiave, ed il risultato è ottenuto. Oggi su Google chiunque di noi e’ in grado di trovare risposta ogni quesito in meno di 10 secondi. Il sapere non ha più lo stesso valore di una volta. Google non ci ha offerto solo un accesso alternativo alla conoscenza. Google ha cambiato il modo stesso in cui possiamo fruire della conoscenza e soprattutto ha cambiato il nostro atteggiamento nei confronti del sapere.

Sono le informazioni che vengono a noi , e vengono a noi solo quando noi decidiamo di averne bisogno . Arrivano a noi velocemente, parcellizzate e organizzate nei formati che noi scegliamo. Guardare la tv, leggere un giornale o un libro implica invece un atteggiamento diverso. Quando guardiamo la tv, oppure scegliamo di leggere un giornale o un libro, noi accettiamo i modi in cui le informazioni vengono organizzate, e confezionate da altri. In un libro cerchiamo l’intelligenza dell’autore, mentre in Google cerchiamo solo una soluzione di un problema.

Oggi l’esperienza del cliente che riceve una buona consulenza, dal suo medico, dal suo avvocato, dal suo consulente finanziario, assomiglia molto più alla lettura di un giornale che ad una ricerca su Google. Il cliente ascolta il consulente e si affida la sua competenza. In ogni tipo di consulenza, ancora oggi il rapporto fiduciario si basa infatti sul riconoscimento, da parte del cliente, del fatto che il consulente ne sa di più. Per questo può trovare soluzioni migliori.

Negli ultimi 50 anni è stata infatti la competenza il tratto distintivo delle professioni più nobili e remunerate, quelle che Peter Drucker, uno dei guru del management, aveva battezzato negli anni ’60 “knowledge workers”, operatori della conoscenza.

L’evoluzione tecnologica e digitale, soprattutto, sta però cominciando ad aggredire anche questo territorio della competenza umana. La legge di Moore, che prevedeva che la capacità di calcolo sarebbe raddoppiata ogni due anni, si è avverata. Non è molto lontano il momento in cui l’intelligenza artificiale sarà in grado di replicare anche attività e competenze complesse come quelle appunto dei knowledge workers.

L’intelligenza artificiale si propone infatti di sostituire proprio le competenze del medico, dell’avvocato e del consulente finanziario . Se la legge di Moore continuerà generare progressi tecnologici esponenziali , questa prospettiva a potrebbe essere molto più vicina di quanto non riusciamo a immaginare.

Tuttavia, in una recente saggio, significativamente intitolato “Gli umani sono sottovalutati”, Geoff Colvin, che è un noto on giornalista e futurologo americano , offre una risposta diversa. Per Colvin non è affatto scontato che i knowledge workers vengano sostituiti dall’intelligenza artificiale. E’ molto più probabile che cambi la natura delle professioni. Che i professionisti sviluppino nuove e diverse abilità. E non soltanto le loro competenze specialistiche. Secondo Colvin i knowledge workers dovranno cioè trasformarsi in “relationship workers”, cioè in specialisti della gestione delle relazioni umane. La chiave del ragionamento di Colvin è abbastanza semplice. L’intelligenza artificiale sarà presto in grado di riprodurre e superare quasi tutte le capacità umane. Tranne una: l’abilità di instaurare rapporti empatici.

L’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri, e cioè la capacità di intuire cosa gli altri pensano e sentono , al di là di quello che dicono . Ed e al contempo anche la capacità di rispondere, in modo appropriato , non solo ai massaggi espliciti dell’interlocutore, ma anche e soprattutto ai suoi messaggi latenti, quelli che transitano tra le righe del discorso, nel tono della voce . Per molti l’empatia è una dote naturale, ma può essere addestrata e affinata da tutti. I piloti supersonici americani, i famosi Top Gun, non vengono solo addestrati al volo, ma imparano a guardare le situazioni dalla prospettiva del nemico. Per comprenderne in tempo reale pensieri ed emozioni, ed anticiparne le mosse.

E’ molto probabile che anche nell’industria finanziaria, in cui gli algoritmi di calcolo sono sempre più efficienti nel reagire agli andamenti del mercato, coltivare le abilità empatiche del consulente diventi presto una priorità. Sarà probabilmente sulle capacità empatiche del consulente, molto più che sulle sue competenze tecnico finanziarie, che probabilmente si giocherà la sfida del futuro.

David Maister, un consulente americano di grande successo , nel suo libro “The Trusted Advisor”, ha addirittura formulato un equazione della fiducia . Nell’equazione della fiducia entrano ovviamente come fattori positivi anche competenza ed affidabilità. Il fattore decisivo è invece proprio l’empatia. Addirittura, lo sfoggio di competenza tecnica nell’equazione della fiducia riduce l’empatia perché distacca il consulente dall’emotività del cliente.

Nella consulenza finanziaria, come nella medicina, le soluzioni, cioè le medicine od i portafogli, sono riproduci tecnicamente. E’ difficile, senza l’ausilio del medico o del consulente, colmare il gap tra sintomi e rimedi, cioè saper formulare diagnosi. Ciò che nel futuro renderà insostituibile il consulente non sarà cioè la sua conoscenza delle soluzioni finanziarie, ma la sua capacità di intuire le domande che il paziente non sa formulare. La parte difficile è sapere di cosa si ha davvero bisogno. Una volta che è formulata la domanda, la risposta si può trovare anche su Internet, ma senza le domande giuste nemmeno Internet può dare risposte.

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