Abi, un piano lacrime e sangue per rilanciare le banche italiane

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L’Abi prepara la rivoluzione da cui nascerà il nuovo modello organizzativo delle banche italiane dopo la crisi. Il Giornale è entrato in possesso del piano di battaglia, dettagliato in un documento licenziato dal comitato esecutivo dell’associazione.

Vi si tratteggia una manovra a geometria variabile ispirata alle norme sui licenziamenti collettivi, e volta a rendere obbligatori i contratti di solidarietà: l’idea è ricorrere a ogni mezzo – prepensionamenti automatici, cassa integrazione, salari flessibili e agganciati ai risultati di bilancio delle singole banche – pur di sgravare gli istituti dalle decine di migliaia di addetti ritenuti in eccesso e riportare il costo del lavoro a un livello compatibile con la gelata dei consumi provocata dalla crisi. Il percorso è stato avviato il 17 ottobre quando, su proposta del presidente Giuseppe Mussari, il comitato esecutivo ha conferito alla squadra guidata da Francesco Micheli «mandato pieno» ad attuare «tutte le misure e le procedure» per ottenere una «significativa riduzione» del costo del lavoro. Da qui la necessità di un immediato confronto con le sigle del settore per riscrivere le regole del gioco: il contratto di categoria scade a dicembre 2014 ma, ha lanciato l’allarme Micheli, già cinque mesi prima scatterebbero aumenti tabellari «assolutamente insostenibili». In base al verbale del comitato esecutivo ( punto «4.1. Temi critici per il sistema») è stato lo stesso Micheli, nelle veste di capo del Casl (Comitato per gli affari sindacali e del lavoro), a riassumere i problemi e chiedere ai consoci di prepararsi alla guerra. Il brogliaccio riassume, quindi, la lunga e preoccupata discussione tra i numeri uno delle principali banche italiane davanti al perdurare della crisi e al marcato trasferimento dei servizi, prima assicurati dalle filiali, verso il canale web.

Il risultato è l’emergere di «gravi problemi di assorbimento» degli esuberi, con la necessità d’incrementare la produttività e di portare fuori dal perimetro delle banche attività non strategiche, grazie a diffuse esternalizzazioni. Il processo – rimarca l’Abi – è complicato dal vicolo cieco creato dalla riforma delle pensioni che, allungando i tempi di uscita dal lavoro, ha «reso insostenibile l’utilizzo del Fondo esuberi» (la cui durata massima è di 5 anni) e ha lasciato in servizio addetti più anziani e, quindi, con stipendi pesanti; da qui la tentazione di rottamare gli over 55 con prepensionamenti obbligatori. La soluzione ipotizzata nel documento è comunque netta per l’intero sistema: le banche devono ridurre gli organici con nuovi meccanismi come la Cig, fare in modo che i pre-pensionamenti diventino obbligatori e scrivere un nuovo contratto di lavoro ispirato al «modello agenziale» che veda una percentuale del salario a provvigione. I sindacati, soprattutto a livello territoriale, hanno tuttavia «scarsa consapevolezza» della criticità del quadro d’insieme, lamenta Palazzo Altieri, ripromettendosi di favorire il punto d’incontro con la disponibilità a dare una sforbiciata al numero dei consiglieri e ai loro compensi, come ha fatto per prima Ubi Banca: a ottobre erano 118 miliardi le sofferenze che pesavano sulle spalle del comparto.

La guerra è alle porte: a Micheli, cui in ambiente sindacale si riconosce lealtà e autorevolezza, il ruolo di trovare un punto d’incontro con le forze sociali: a partire dalla Fabi di Lando Maria Sileoni (la prima sigla del settore), che negli ultimi mesi ha formato con la Fiba di Giuseppe Gallo e la Uilca di Massimo Masi un asse politico per la gestione della categoria, di cui insieme rappresentano la larga maggioranza degli addetti.

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