Banche, responsabilità aggravata da custodia

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La banca risponde del furto di valori contenuti nelle cassette di sicurezza anche oltre il limite stabilito nel contratto, se è responsabile a titolo di colpa grave. L’istituto di credito, infatti – in quanto soggetto altamente qualificato nell’erogazione di un servizio di interesse pubblico – deve predisporre tutti gli accorgimenti resi disponibili dalla tecnica più avanzata, nonché ogni cautela idonea a prevenire l’evento dannoso. Lo ha precisato la Corte di cassazione, sezione prima civile, con la sentenza 18706/2012.

Ad aprire la questione, la sottrazione dei beni custoditi in una cassetta di sicurezza di una banca. Per l’accaduto, il titolare del contratto di locazione della cassetta, trovata forzata e aperta, cita in giudizio la banca, per ottenere il risarcimento dei danni subìti. Il tribunale accoglie la domanda e condanna la convenuta a pagare circa 40.500 euro.

Contro la sentenza, però, arriva il ricorso in appello: i giudici di secondo grado riducono nettamente l’importo liquidato. Per la Corte d’appello, la condanna deve essere confermata, anche alla luce della confessione, resa in sede penale, circa la corresponsabilità di un dipendente della società incaricata della vigilanza (circostanza, questa, che avrebbe escluso l’esimente del caso fortuito). Del furto, tuttavia, secondo i giudici, l’istituto deve rispondere a titolo di colpa lieve, dal momento che si era fatto carico di apprestare tutti i mezzi in astratto adeguati alla custodia dei locali, dove erano conservati i valori depositati dai clienti. Di qui, si legge nella motivazione della pronuncia, la «validità del limite di responsabilità contrattualmente fissato», superabile solo in caso di dolo e colpa grave.

Non concorda la Cassazione che, in accoglimento del ricorso promosso dal titolare dei beni derubati, rinvia la causa ai giudici di merito, per il ricalcolo del danno risarcibile. La decisione impugnata, spiega la Corte di legittimità, sbaglia nell’escludere la colpa grave dell’istituto, per il solo fatto di aver predisposto «oltre alle consuete apparecchiature meccaniche, anche un servizio di sicurezza idoneo, in astratto, a scongiurare» il furto. Ciò, puntualizza il collegio, non si può ritenere sufficiente a inquadrare la responsabilità dell’istituto quale colpa lieve. Nel caso in esame, si rileva, la «grave e inescusabile imprudenza, negligenza e imperizia» del custode non deve essere rapportata alla «diligenza media del buon padre di famiglia, bensì alla specifica professionalità esigibile da un soggetto altamente qualificato, istituzionalmente erogatore di un servizio di interesse pubblico». Di conseguenza, alla banca è imposta la «doverosa predisposizione di tutti gli accorgimenti resi disponibili dalla tecnica più avanzata e delle cautele idonee a prevenire l’evento dannoso».

Così, il fatto che l’istituto di credito si fosse organizzato, oltre che con mezzi tecnici, anche con «un servizio di sicurezza composto da uomini che più opportunamente avrebbero potuto rendersi conto della presenza di ladri all’interno dei locali», non necessariamente esclude la colpa grave. L’idoneità o no della condotta esigibile dal custode dei valori di terzi, in effetti, deve essere valutata alla luce dell’accaduto e, pertanto, delle modalità esecutive del furto. Né, d’altronde, sarebbe valsa ad alleggerire la responsabilità dell’ente la violazione da parte del cliente dell’obbligo di non immettere in cassetta beni di valore superiore al tetto massimo stabilito, trattandosi di limite non operante nell’ipotesi di dimostrata colpa grave dell’istituto. Ecco che, conclude la Cassazione, accertata la colpa grave del custode (equiparabile al dolo) non trova applicazione la soglia del risarcimento fissata per contratto, sfuggendo tale responsabilità alla «limitazione legale del danno da illecito contrattuale».

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