A sentire i ragazzi di Impact Hub, il nuovo acceleratore sociale che programma di aprire dopo l’estate a Torino, è solo questione di impegno. Loro ce lo mettono tutto. Tanto che hanno rinunciato a lavori sicuri in altre città per tornare a casa e costruire un luogo dove far incontrare piccoli imprenditori, liberi professionisti e creativi per aiutarli a dare uno sbocco pratico alle loro idee. Unico vincolo: lo scopo sociale dell’attività, non il mero profitto.
L’idea è quella già consolidata in 81 posti nel mondo, per un totale di 15 mila associati, da Londra a Berlino, da Tel Aviv a Dubai, da New York a Tokyo; senza contare le sedi italiane: Trieste, Milano, Reggio Emilia, Firenze, Roma, Bari e Siracusa. La rete non dà vincoli al singolo ufficio di Impact Hub, ma garantisce spunti, contatti e l’osservanza dell’unica regola: l’impresa sociale.
«Radicamento locale e connessione internazionale sono la chiave del progetto – spiega Laura Cosa, 30 anni, torinese, amministratore delegato della nuova società -. Saremo uno spazio di coworking di 800 metri quadrati, in collaborazione col soggetto che si è candidato a gestire la manica destra dello spazio ex Incet in Barriera di Milano a Torino, contribuendo alla riqualificazione di quel quartiere. Avremo uffici, sale riunioni e postazioni di lavoro per i soci. Faremo degli incontri per stimolare la scena imprenditoriale torinese e costruiremo dei programmi di accelerazione. Chi ha un’idea a impatto sociale può venire da noi. Abbiamo già 80 potenziali iscritti, che chiamiamo “hubber” e tutti sono benvenuti».
Qualche esempio di cosa potrebbe nascerne? Tre startup hanno già partecipato a un programma: «Last minute sotto casa» ha creato un’applicazione per cellulari che permette ai piccoli negozi di segnalare le rimanenze scontate per evitare spreco di cibo; «Orti alti» sviluppa giardini sui tetti; «Biops» offre soluzioni biotecnologiche per la gestione dei rifiuti organici, come una polvere che limita gli odori e il gocciolamento.
Sono otto i ragazzi che lavorano a Impact Hub. Tutti come Laura Cosa facevano altro. Lei prima si occupava di microcredito a Milano nella società Planet Finance di Jacques Attalì. Paolo Russo, 33 anni, torinese, consulente finanziario, si è meritato la presidenza perché ha avuto l’idea: «Su Facebook continuavo a vedere amici sparsi per il mondo che citavano Impact Hub e mi sono incuriosito. A Vienna c’è un ufficio che si occupa di chi come noi vuole aprirne uno nella propria città. L’idea è che anche qui si possa realizzare qualcosa come a San Francisco. Dal catering equosostenibile all’azienda informatica sono tanti i soggetti coinvolgibili. Aprire ha richiesto un iter lungo e difficile, ma ora siamo liberi e dobbiamo solo il 2,5 per cento dei guadagni al network internazionale. Non ci nascondiamo che è un momento di facile pessimismo a Torino come in Italia, ma noi siamo giovani, preparati, uniti, abbiamo viaggiato e questa città ha aziende, un terzo settore espanso, un milione di persone. Se non proviamo noi a fare qualcosa chi può farlo?».