Che ruolo avrà la Banca Centrale europea nella ripresa post Covid19?
Sono molte le domande dalle cui risposte dipende il futuro dell’Europa e quello dell’Italia e di cui si discute in un momento storico incerto come pochi in passato, che potrebbe segnare un cambiamento profondo, anche a livello di istituzioni, verso un’Europa più equa, solidale, rispettosa dei diritti o viceversa determinare la sconfitta di un sogno.
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Sono molte le domande dalle cui risposte dipende il futuro dell’Europa e quello dell’Italia e di cui si discute in un momento storico incerto come pochi in passato, che potrebbe segnare un cambiamento profondo, anche a livello di istituzioni, verso un’Europa più equa, solidale, rispettosa dei diritti o viceversa determinare la sconfitta di un sogno.

Se ne è discusso nell’incontro on line che si è tenuto il  26 maggio scorso, “Quale futuro per le istituzioni europee?”, con la partecipazione di Paolo Paesani, professore associato di Storia del Pensiero economico all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e membro del Comitato di Redazione del Menabò di Etica e Economia.

Un continente in crisi

L’incontro, che rientra nella serie dei seminari di Futuro Prossimo, ha messo al centro le istituzione Europee, in particolare la Commissione, Il Consiglio europeo, il Consiglio dell’Unione europea, la Banca Centrale, il Parlamento, che è la sede della rappresentanza.

Queste istituzioni dialogano fra loro, e con  gli Stati membri e i logo governi nazionali. E se non sempre è facile il dialogo tra istituzioni, men che meno lo è quello con gli Stati e i governi nazionali, che Paesani raccoglie in tre gruppi: «un gruppo di Stati centrali, attorno alla Germania, con Paesi Bassi e Belgio; la periferia orientale con i Paesi che sono entrati per ultimi; quella meridionale: noi, la Grecia, la Spagna e poi l’eccentrico per eccellenza, la Francia, che non si sa mai bene dove collocare».

Paesi divisi fra loro, spesso incapaci di dialogare, aggiungiamo noi. Lo si vedeva già prima della pandemia, quando il vecchio continente era segnato, ha ricordato Paesani, «da una sostanziale stagnazione e da tasso di crescita molto basso, da una parte, e dall’aumento delle disuguaglianze dall’altra». È in questo contesto che nel 2017 viene lanciato il pilastro Europeo dei diritti sociali, «come tentativo di invertire questa doppia tendenza e di riportare il lavoro al centro delle preoccupazioni delle istituzioni europee».

Nasce il debito europeo

Poi, alla fine del 2019, è arrivata la pandemia globale, che ha davvero creato una cesura profonda, anche sul piano economico e sociale: disoccupazione, decrescita, deficit e debiti pubblici in aumento… L’Europa ha reagito mettendo in campo alcuni strumenti. Il Sure, cioè il piano di assistenza finanziaria per sostenere l’impegno degli Stati membri ad aiutare le imprese nel salvaguardare per quanto possibile i posti di lavori. «È uno strumento temporaneo», ha puntualizzato Paesani, «anche se qualcuno propone di renderlo permanente. E rientra negli obiettivi del Pilastro Europeo». E poi il piano Next Generation EU: un pacchetto di misure economiche per stimolare l’attività dei Paesi Europei per 750 miliardi complessivi. Nei criteri generali per l’approvazione dei progetti, l’economia verde e gli strumenti digitali sono stati identificati come i comparti principali a cui verranno le risorse.

Ed ecco dunque la domanda cruciale: se questa è la strategia contro stagnazione e disuguaglianze, che come abbiamo detto c’erano anche prima del Covid, chi la finanza? «In parte gli Stati Membri e in parte l’UE stessa, che per la prima volta emetterà obbligazioni per raccogliere risorse», risponde Paesani, che pone una seconda domanda, conseguente: questo metodo di finanziamento aiuterà ad affrontare la crisi e a ridurre le disuguaglianze? «Non si può dare una risposta univoca», risponde. «Ci sono ragioni che spingono d essere fiduciosi: è indubbio che questi titoli saranno accolti con favore dal mercato, anche perché godranno di un tasso di interesse relativamente basso. Questo può essere l’inizio di quel percorso che può portare all’ampliamento dello spazio fiscale europeo, avvicinando l’Europa al modello federale americano, dotandola di un bilancio autonomo». Ma ci sono anche ragioni che inducono alla cautela: «Primo: quei titoli europei andranno in concorrenza con i titoli nazionali e per un Paese come il nostro potrebbe essere necessario aumentare i tassi di interesse per rendere appetibili sul mercato i propri titoli. Secondo, in futuro si aprirà probabilmente una nuova era di austerità, per riportare i bilanci nazionali ad un livello di debito e di deficit sostenibili».

Da parte sua, la Banca Centrale Europea ha adottato politiche monetari espansive, «ma probabilmente non potrà sostenerle a lungo, perché ha come obiettivo fondamentale quello di contenere l’inflazione e si prevede che crescerà». Bisogna inoltre tenere conto del fatto che «ciò che avviene in tutto il resto del mondo condiziona ciò che avviene in Europa: i prezzi delle materie prime  stanno aumentando; l’inflazione in aumento negli Stati Uniti; le nuove valute digitali che si stano imponendo; e tante altre questioni di natura geopolitica».

Responsabili del futuro dell’Europa

Anche le condizioni monetarie, secondo Paesani, «nei prossimi anni potrebbero diventare meno propizie, e così le condizioni finanziarie, perché ancora non abbiamo visto gli effetti della crisi sulle banche. In più siamo alla fine dell’era Merkel, che ha avuto un ruolo di stabilizzazione e non sappiamo quali sviluppi politici ci saranno in Germani, o anche in Francia? E neppure in Italia che resta un paese importante, non foss’altro perché è un paese fondatore. L’implementazione delle nuove misure sarà affidata a nuovi Governi».

A quelli attuali, oltre che a quelli futuri, sarà affidato anche il buon uso delle risorse, che è fondamentale «perché, se messe a frutto, creeranno un reddito e dei posti di lavoro, che ora non ci sono e che domani ci saranno, e una base imponibile che servirà a ripagare il debito che è stato fatto. Se le risorse saranno sprecate, invece, quando arriverà il momento di pagare il debito, bisognerà togliere a qualcuno».

L’impressione rimasta dall’incontro è che questo è il momento di discutere e di progettare un futuro dell’Europa basato meno sulla concorrenza e più sulla solidarietà e sull’inclusione, formata da partner meno egoisti e più coesi. I protagonisti dell’Europa non sono solo le istituzioni, ma anche i cittadini, le imprese, i corpi intermedi.  Che oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di prendere la parola, tanto più che è in corso la Conferenza sul futuro dell’Europa e che è una piattaforma dedicata, proprio per esprimere il proprio parere e le proprie proposte su questi temi (ne abbiamo parlato qui)

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