Chi sono i professionisti del digital?

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Illusione o realtà? Il tema delle ricadute reali della rivoluzione digitale in atto – in termini di posti di lavoro, ma anche di tutele per chi questi lavori svolge – è uno dei nodi del dibattito attuale, sia a livello economico che sociale. A quasi cinque anni ormai dall’avvio delle prime politiche pubbliche a sostegno delle startup innovative, e quindi dell’impegno anche di diversi soggetti privati nell’individuare, sostenere e far crescere le giovani aziende che si lanciano in nuovi settori del tech e del digital, sembra essere ancora complicato conteggiare quanto tutto questo mondo, che ha grande visibilità a livello di media ed è «trendy» soprattutto tra giovani e giovanissimi, produca in concreto sul fronte dell’occupazione.
Qualche cifra di riferimento l’ha data, in proposito, Marco Gay, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, che il 27 e 28 maggio ha partecipato a due iniziative importanti nel settore dell’innovazione come Supernova, Festival dell’innovazione e della creatività che si è tenuto a Torino, e poi al Wired Next Fest di Milano, la due giorni di «riflessioni sul futuro » promossa dalla rivista Wired. Come ha dichiarato Gay, «le imprese innovative in Italia sono oggi circa 5.500 e danno impiego a oltre 23 mila persone». Numeri non enormi, ma si tratta secondo Gay di «imprese che vanno sostenute in tutti i modi possibili, perché non sono altro che nuova imprenditorialità che valorizza il capitale umano. Non c’è niente di male a dire che i nostri ragazzi, in quanto a creatività, sono bravi. Secondo i dati Censis del 2015, l’Italia è leader europeo nella propensione a fare impresa per gli under 35». Quel che manca, secondo Gay, non è insomma l’intelligenza dei giovani desiderosi di fare impresa, e nemmeno il coraggio di lanciarsi. Il problema è la bassissima propensione all’investimento del capitale di rischio, ovvero quella benzina che dovrebbe sostenere il boom delle imprese nascenti. «Oggi bisogna investire in capitale di rischio per farle passare dalla fase di start alla fase di up», dice Gay.
Vero è che per calcolare quanto il digitale “produce” quotidianamente a livello di occupazione non ci si può limitare ai numeri delle tanto declamate start-up. Il cambiamento di paradigma in atto infatti riguarda in maniera pesante tutti i settori della old economy, che hanno dovuto – e in gran fretta – implementare nuove funzioni e nuove figure professionali nei propri processi per poter affrontare e compiere le nuove sfide che il mercato pone. Nell’ultimo quinquennio si è aperto un enorme mercato di possibilità per i professionisti del digital che, senza ambire a lanciare la propria start-up, sono andati a portare le proprie competenze all’interno di aziende già esistenti o a offrire servizi nuovi e innovativi di cui il mercato ha un enorme bisogno.
Professioni del tutto nuove, che fino a 5 anni fa non esistevano e hanno preso in qualche modo in contropiede le stesse aziende, costrette a lanciarsi molto rapidamente alla ricerca di nuovi professionisti con gli skill adatti (spesso senza nemmeno avere, per altro, i parametri per misurare la bontà o fondatezza di questi skill).
A costruire una mappatura di questa nuova galassia professionale, e a quantificarne il valore indicando gli stipendi medi ruolo per ruolo, è stata Saxoprint, tipografia e studio di digital design che ha scandagliato questo mondo riassumendolo in un’efficace infografica, che inquadra nuove professioni, competenze necessarie e retribuzioni medie.
Ecco le nuove professioni digitali:
  • social media manager,
  • web designer, sviluppatori ,
  • esperti di Seo e Sem,
  • social media specialist,
  • e-commerce manager,
  • influencers.
«Le aziende che non vogliono scomparire o che vogliono acquisire nuovi clienti, devono necessariamente rivolgere il loro sguardo verso il digital e il web marketing», dicono da Saxoprint. «Le possibilità lavorative in questo settore, dunque, sono moltissime, e gli stipendi sono più che dignitosi, si parte da 19 mila euro per uno junior ad oltre 75 mila euro di retribuzione annua per un senior, a seconda della professione». Soldi facili? Anche se tutti ormai, bene o male, trascorriamo diverse ore a gestire il nostro profilo Facebook, gestire questi canali a livello professionale è un altro paio di maniche. «Per riuscire ad entrare nel reparto web di un’azienda, però, non basta saper usare un computer o avere un profilo Facebook e Twitter. Il mondo che ruota intorno al digital e all’internet marketing è estremamente complesso e, soprattutto, in continua evoluzione. Per questo sono richieste elevate competenze tecniche (hard skills), ma anche la capacità di sapersi districare nel flusso di informazioni inarrestabile proprio del web: nuovi algoritmi, nuove applicazioni, nuovi tool sono all’ordine del giorno, a cui si aggiunge la frequentazione assidua di community e blog specializzati, che devono diventare il vero pane quotidiano per la formazione personale e la crescita delle relazioni. Tuttavia, ancora non basta. Concludono la ricetta della figura digitale perfetta anche la capacità di saper ragionare a lungo termine, doti analitiche e creative».
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