Come affrontare efficacemente il processo di consulenza

Un allenatore di tennis (che possiamo paragonare a un consulente finanziario) dice al suo allievo (cliente): “Sei troppo aggressivo, tiri tutti i colpi allo stesso modo, nel tennis occorre variare gioco (diversificare) e adattarsi a quello dell’avversario (mercati) che cambia sempre. Inoltre bisogna essere prudenti al momento giusto e aggressivi quando serve, avere un piano di gioco chiaro (obiettivi di investimento), adatto alle tue competenze (propensione al rischio), che sfrutti i punti deboli del tuo avversario (comprare/vendere quando gli altri vendono/comprano con strategie mean reverting). Pensa alle cose positive (non lasciarsi condizionare da panico o avidità che sono emozioni negative) e non lasciarti demoralizzare se le cose non sempre vanno bene perché la partita si vince con i punti importanti (accompagnando i giusti trend al rialzo con strategie trend following)”.

Con questa metafora sportiva, Rosario Zammuto, professionista con ventennale esperienza nel mondo dell’investing, del wealth management e del fintech, ci spiega come affrontare efficacemente il processo di consulenza. “Credo che la consulenza finanziaria sia uno dei mestieri più difficili al mondo e che finché non si allineano gli interessi di clienti, consulenti e gestori non si finirà mai di migliorare veramente il processo di consulenza”.

Consulenza ‘a tutto tondo’

La consulenza del futuro dovrebbe coinvolgere tutti gli aspetti del patrimonio del cliente, da quelli  finanziari a quelli fiscali, legali e quelli legati al passaggio generazionale. “Oggi questo sforzo di ‘consulenza a tutto tondo’ viene fatto artigianalmente dai singoli consulenti finanziari che creano alleanze più o meno solide con altri professionisti come commercialisti, avvocati, notai… e persino con ‘esperti di finanza’ a vario titolo visto che evidentemente la propria casa madre non li soddisfa a fondo in termini di informativa finanziaria e di supporto decisionale alla consulenza”. Per Zammuto il consulente non può diventare un esperto di tutto perché diventerebbe solamente un ‘tuttologo’. “Credo che neanche le sedi centrali di banche e reti, nonostante le dichiarazioni d’intenti, si stiano attrezzando per offrire multiservizi di questo tipo o almeno non credono fino in fondo in questo modello perché altrimenti non si spiegherebbe la ‘cura dimagrante’ che stanno facendo diverse reti e banche senza pensare in alternativa a una riconversione reale delle persone per fornire servizi aggiuntivi al cliente”.

 

Meglio reti o indipendenti?

“Molte reti dicono di essere votati all’architettura aperta in termini di prodotti e di servizi anche se questo non si concilia molto con le considerazioni di riduzione dei costi di cui parlavamo prima.
Le sedi cercano di ‘alleggerirsi’ mentre i consulenti vogliono prestare più servizi ai propri clienti.
Strutture di sede ‘light’ possono portare soltanto a servizi al cliente ‘superficiali’. Lo sdoganamento della consulenza finanziaria indipendente è sicuramente un fatto positivo perché apporta maggiore indipendenza e trasparenza a questo mestiere che è stupendo e che potrebbe esserlo ancora di più. Siamo ancora lontani da un boom del settore ma penso che ci sia del potenziale per imparare dalle SCF e prenderle come esempio per i modelli di consulenza per il futuro”.

 

La spinta delle nuove tecnologie e del fintech

Secondo il manager il potenziale necessario per unire i vantaggi dele modello di consulenza delle reti e delle SCF oggi potrebbe arrivare dalle nuove tecnologie e dal fintech. la tecnologia rappresenta un’opportunità affinché i consulenti possano trasformarsi in consulenti finanziari e patrimoniali senza diventare dei ‘tuttologi’. “Abbiamo visto alcuni roboadvisor in Italia che utilizzano la tecnologia ma credo che occorre fare ulteriori passi importanti, soprattutto nella generazione di alpha. Credo che il nuovo possa arrivare dai roboadvisor e dai robo4advisor, i primi se strutturati per una vera gestione attiva e i secondi se pensati per mettere al centro davvero il cliente e il consulente oltre che la gestione, equilibrando gli interessi di questi tre pilastri fondamentali. I robo4advisor possono offrire un servizio di consulenza davvero più ‘personalizzato’. Per fare un esempio banale penso a alert sui portafogli dei singoli clienti che possono permettere una vera consulenza personalizzata e non una consulenza ‘standardizzata’ fatta passare per personalizzata. Inoltre, penso a una profilazione dei clienti più efficiente, alla costruzione di portafogli per obiettivi e al loro successivo concreto monitoraggio nel tempo. Penso anche all’utilizzo del machine learning che permetterà una migliore allocazione tra strategie total return basate su fattori differenti. Infine, penso anche a possibili ‘piattaforme tecnologiche’ dove il consulente può accedere a servizi di roboadvisor e di robo4advisory ma anche a servizi resi da commercialisti, avvocati, specialisti di corporate finance e persino a ‘nuovi asset’ a basso costo come il private debt e il private equity. Una piattaforma tecnologica che sarà una vera rete di professionisti collaboratori con interessi convergenti”.

 

Il fintech advisor

“Il fintech non prenderà il posto dell’attuale advisor o consulente finanziario ma il ‘fintech dvisor” prenderà il posto del consulente/advisor di oggi perché unirà i vantaggi dell’intelligenza umana (che è flessibile, sensibile, intuitiva e che agisce verso il meglio tramite le emozioni positive) e i vantaggi dell’intelligenza artificiale (che è disciplinata, prende decisioni oggettive e ci aiuta a controllare oggettivamente il rischio e, quindi, il cliente senza farci condizionare da emozioni negative come la paura o l’avidità). La consulenza finanziaria richiede uno sforzo di formazione, aggiornamento e qualificazione enorme per il professionista serio e questo sforzo sarà sempre maggiormente focalizzato verso le nuove tecnologie e il fintech. Ma non basta. Un  modello ideale di consulenza è quello che mira ad allineare il più possibile gli obiettivi di consulenti, clienti e gestore. Come? Facendo pagare il giusto ai clienti (Ter complessivo più basso), garantendo un guadagno adeguato al consulente che potrà seguire più clienti (in fondo è merito del consulente fidelizzare il cliente per il tempo necessario al raggiungimento degli obiettivi) e lasciando fare al gestore il suo lavoro (che è quello di creare alfa per remunerare il proprio lavoro e quello di tutta la struttura che gli porta mezzi e risorse), conclude Zammuto.

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