“Così il Montepaschi ha manipolato il mercato” ecco l’accusa della Consob

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La presunta «mazzetta» da 2 miliardi, ammesso che esista davvero, non si trova. Le trame oscure di Rocca Salimbeni, ordite dalla sinistra senese con il concorso bipartisan della destra toscana, restano per ora sul fondo. Quello che viene a galla, dalla palude del malaffare in cui e’ sprofondata la banca più antica del mondo, e’ invece un gigantesco groviglio, per niente «armonioso», di comportamenti fraudolenti dei vertici dell’istituto. É già lunga lista dei reati addebitati a Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri. Truffa, appropriazione indebita, ostacolo alla Vigilanza. Ora, all’elenco, si aggiunge anche la «manipolazione del mercato», uno dei reati finanziari più gravi per la trasparenza del mercato borsistico. L’affare Mps, con i suoi risvolti penali e morali, è dunque un virus inoculato nel sistema, che si diffonde e produce danni diffusi di cui ancora non si può valutare l’entità. Una «malattia» del capitalismo senza etica e senza capitali che preoccupa le istituzioni, a partire dal Quirinale. Che coinvolge le autorità di controllo, dalla Banca d’Italia alla Consob. Che allarma i clienti e i dipendenti della banca senese, rendendo quasi impossibile la missione di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, impegnati in un risanamento che difficilmente potrà prescindere da un intervento diretto dello Stato nel capitale dell’istituto.
IL NUOVO REATO: MANIPOLAZIONE DEL MERCATO
Da venerdì scorso, sul tavolo del pubblico ministero della Procura di Siena Antonino Nastasi ci sono due documenti pesanti, che aggravano ulteriormente la posizione della «cupola» che negli ultimi cinque anni ha trasformato Mps in un comitato d’affari sporchi. Al Pm li ha trasmessi la Consob, che dopo la Banca d’Italia parte a sua volta all’attacco di Mussari e della «banda del 5%». Nei due documenti (una «Relazione per la Commissione» di 5 cartelle e una «Nota Tecnica» di 27 pagine redatta dall’Ufficio Abusi di Mercato) la Commissione presieduta da Giuseppe Vegas denuncia testualmente: «Configurabilità dell’illecito di manipolazione del mercato con riguardo a condotte tenute da esponenti di Banca Monte Paschi di Siena SPA nella strutturazione di un’operazione di rafforzamento patrimoniale per l’acquisizione di Banca Antonveneta SPA e alle informazioni circa il patrimonio di vigilanza e i coefficienti patrimoniali di Banca Mps SPA esposte nella relazione semestrale al 30 giugno 2008».
L’iniziativa della Consob, come si legge nello stesso documento introduttivo, nasce da un incontro che il 7 dicembre 2012 lo stesso pm Nastasi ha convocato a Siena, insieme ai rappresentanti della Guardia di Finanza, «il comandante del Nucleo, Generale Giuseppe Bottillo, e il tenente colonnello Pietro Bianchi », e allo staff dell’organo di controllo della Borsa, «il responsabile della Consulenza legale e il responsabile dell’Ufficio Abusi di Mercato». «Nel corso dell’incontro — si legge ora nella Relazione
per la Commissione trasmessa alla Procura — il dottor Antonino Nastasi ha chiesto che la Consob formulasse proprie valutazioni circa la configurabilità di illeciti di manipolazione del mercato, con riguardo a condotte tenute da esponenti di Banca Mps nella strutturazione di un’operazione di rafforzamento patrimoniale per l’acquisizione di Banca Antonveneta». Ultimate le verifiche, dunque, gli «sceriffi» di Piazza Affari hanno tratto le loro conclusioni, sottoponendole alla Procura. L’esito è inequivocabile: «Dall’esame dei documenti — scrivono i responsabili Consob — emergono elementi sulla base dei quali appare opportuno comunicare alla Procura di Siena che potrebbe essere configurabile il reato di manipolazione del mercato, previsto dall’articolo 185 del decreto legislativo n. 58/1998».
Mussari, Vigni e il gruppo dirigente di Mps del periodo 2008/2011 dovranno rispondere di una nuova accusa, per altro punita con una pena edittale tra le più alte dell’ordinamento, per reati di natura finanziaria (sanzioni pecuniarie fino a 15 milioni di euro e «confisca per equivalente», senza contare l’interdizione dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese). Anche i tecnici della Vigilanza di Borsa, come già gli ispettori di Bankitalia, puntano il dito contro la famigerata operazione «Fresh» da 1 miliardo, che il Montepaschi lancia tra il novembre 2007 e la primavera 2008 con JpMorgan, per finanziare l’acquisto a prezzi esorbitanti di Antonveneta. Manovra che la banca spaccia per aumento di capitale e che invece è un contratto di usufrutto, come ora sappiamo e come certifica Bankitalia in un documento trasmesso alla Procura il 28 novembre 2012, e riportato nella nota Consob. É questo l’epicentro del sisma Mps: «L’esclusione delle azioni sottostanti al Fresh dal core capital e la loro inclusione tra gli strumenti innovativi di capitale determina, al 30 giugno 2008, un supero della soglia massima computabile nel patrimonio di base, con conseguente contrazione
di tale aggregato e, a cascata, del patrimonio supplementare. Nel complesso, pertanto, il declassamento del titolo ha come effetto una contrazione sia del patrimonio di base (da 6,3 a 5,2 miliardi) sia di quello supplementare (da 5,7 a 5,2 miliardi). In relazione a detto effetto riduttivo, al 30 giugno 2008, il patrimonio di vigilanza non risulta in grado di coprire i totale dei requisiti prudenziali, con un total capital ratio in riduzione dal 9,1 al
7,8%, rispetto a un minimo dell’8%)».
Questo sostanziale falso in bilancio, compiuto dai vertici della banca, è alla base dell’ipotesi del reato di ostacolo alla Vigilanza, sollevato dalla Banca d’Italia. Ora la Consob aggiunge un altro profilo penale: il danno ai risparmiatori. «Un investitore che si fosse proposto di compravendere strumenti finanziari emessi da Mps — riassume la Consob a pagina 26 della Nota Tecnica — avrebbe rinvenuto nella relazione semestrale al 30 giugno 2008 indicazioni false e fuorvianti circa: la dimensione del patrimonio di base, del patrimonio supplementare e, conseguentemente, del patrimonio di vigilanza; l’adeguatezza del patrimonio di vigilanza ai fini della copertura delle erudite potenziali connesse ai rischi assunti da Mps; l’assenza di necessita di ricorrere al mercato per la raccolta di nuove risorse finanziarie che potessero essere computate nel patrimonio di vigilanza; in definitiva, il valore degli strumenti finanziari emessi da Mps. Su tali indicazioni l’investitore avrebbe erroneamente fondato le proprie decisione di investimento o disinvestimento con riguardo al prezzo al quale convenientemente compravendere e alla dimensione delle operazioni da effettuare». Il risparmiatore, secondo la Commissione, sarebbe stato in sostanza indotto «ad attribuire agli strumenti finanziari emessi da Mps un valore superiore a quello loro attribuibile sulla base della reale consistenza del patrimonio di
vigilanza e dell’effettiva consistenza dei coefficienti patrimoniali », poiché non avrebbe percepito «la minore capacita di assorbimento delle erudite potenziali» e la maggiore probabilità del ricorso «all’emissione di nuovi strumenti finanziari classificabili nel patrimonio di vigilanza di base».
2008/2013: CINQUE ANNI DI CONTROLLI INUTILI
La Consob, dunque, va all’attacco. Il tentativo, come è già capitato alla Banca d’Italia guidata all’epoca da Mario Draghi e ora da Ignazio Visco, è quello di fugare ogni dubbio sulla correttezza dell’operato dei «controllori», in uno scandalo che ha suscitato scalpore e tremore. Anche sull’efficacia delle autorità di vigilanza. I «cani da guardia» del sistema bancario e finanziari cercano di uscire dall’angolo e di dimostrare che se oggi esplode il bubbone di Siena è solo perché i vertici di Mps sono stati infedeli ed hanno nascosto i documenti contabili, non perché chi doveva vigilare ha fatto finta di non vedere il marcio che inquinava i bilanci. Le perplessità restano. La Consob soprattutto quella vecchia gestione di Lamberto Cardia, gran ciambellano della casta dei Quiriti, ha davvero molto da farsi perdonare: a parte Mps, basta pensare al silenzio assordante della Commissione di fronte al saccheggio dei Ligresti sulla cassaforte Fonsai. È urgente rimettere mano alle leggi, per dare più poteri di «enforcement» sui manager inadeguati alla Banca d’Italia, che li chiede da tempo, e per dotare la Consob delle stesse «armi» a disposizione della Sec. In attesa che qualcosa si sblocchi, anche Vegas (come già ha fatto Visco) ha redatto un documento dettagliato, con tanto di tavola sinottica riepilogativa, intitolato «Principali attività di vigilanza svolte dalla Consob sul gruppo Mps». Dieci pagine di relazione, datata 8 febbraio 2013, nelle quali la Commissione ricostruisce gli interventi effettuati dal 28 marzo 2008 (quando la Consob inoltra a Bankitalia la prima richiesta «al fine di acquisire elementi
utili all’istruttoria sul prospetto di aumento di capitale») fino al 31 gennaio 2013 (quando la Consob inoltra alla stessa Banca d’Italia una prima nota sulla «ricostruzione dell’attività istruttoria »).
Nel testo la Commissione rivendica di aver agito sempre nell’ottica della «trasparenza e correttezza degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento nei confronti della clientela, di trasparenza dell’informazione finanziaria e di abusi di mercato». L’attività di controllo si e sempre svolta «nell’ambito degli usuali rapporti di collaborazione» con Via Nazionale. Oltre alle verifiche sull’operazione Fresh e sui disastrosi derivati Alexandria e Santorini, la Consob rimarca la pressione sistematica esercitata sull’istituto a proposito di un altro strumento «critico » di Mps: «Per quanto attiene alla vigilanza sui servizi di investimento, sono state inviate in data 27 settembre 2010, 10 novembre 2010 e 18 novembre 2010, richieste di dati e notizie sull’operazione, accompagnate da specifici richiami al rispetto delle regole di trasparenza e correttezza nella distribuzione del prodotto Casaforte». Quando il 29 giugno 2011 arriva agli uomini di Vegas «un esposto anonimo che segnalava pratiche scorrette poste in essere da taluni dirigenti dell’Area cui sono demandate e funzioni di finanza proprietaria», l’attività ispettiva della Commissione cresce, e il documento viene trasmesso a Bankitalia e alla Procura. Finiscono nel mirino, oltre a Fresh, Santorini e Alexandria, operazioni in «titoli strutturati» assai limacciose, come Nota Italia e Enigma. La banca non collabora, o lo fa in modo elusivo.
Il pressing della Consob— secondo la ricostruzione della Commissione — si intensifica nell’ultimo anno, in parallelo con l’inchiesta dei pm: «Nell’ambito dell’attività di collaborazione intercorsa con l’autorità giudiziaria — si legge nel rapporto a pagina 9 — la Consob ha provveduto a trasmettere alla procura di
Siena nel periodo compreso tra il 26 gennaio 2012 e il 14 gennaio 2013 quattordici note informative contenenti documentazione, approfondimenti tecnici e segnalazione di fatti di rilevanza penale su materie di competenza… Nel medesimo periodo si sono svolti quattro incontri di coordinamento tra il personale della Consob e la procura della Repubblica presso il tribunale di Siena ».
LA PREOCCUPAZIONE DEL COLLE, IL RISCHIO-DEPOSITI
I «vigilantes», dunque, respingono le accuse. La «memoria difensiva » preparata da Vegas, per ora, non è stata ancora resa pubblica. Com’era già accaduto per l’analogo documento stilato dalla Banca d’Italia alla vigilia dell’audizione alla Camera del ministro del Tesoro Grilli, il testo Consob è stato inviato «per conoscenza » alle alte cariche dello Stato. É nota la preoccupazione del presidente della Repubblica sugli effetti destabilizzanti che un allarme eccessivo e incontrollato sullo scandalo Mps potrebbe produrre al sistema. Fino a mettere a repentaglio un “bene” come il risparmio, tutelato dalla Costituzione. E fino ad esporre al rischio di delegittimazione l’italiano oggi più potente e influente al mondo, cioè Mario Draghi, già contestato dai falchi della Bundesbank che lo vedrebbero volentieri fuori dall’Eurotower della Bce. Non a caso Giorgio Napolitano non ha esitato a intervenire due volte sul caso, il 31 gennaio e l’uno febbraio. Invocando senso dello Stato e senso di responsabilità, per una questione delicatissima che chiama in causa «l’interesse nazionale».
Mps, con tutta evidenza, resta una bomba a orologeria. Il timer dello scandalo non si è fermato, nemmeno in campagna elettorale. E sembra destinato a ripartire in fretta, subito dopo il voto. Un’escalation che non può non angosciare il board della banca, che sta a sua volta lottando contro il tempo per portare avanti un piano industriale lacrime e sangue, ed evitare di dover «ripagare» i 3,9 miliardi di Monti bond del governo in azioni, affidando Rocca Salimbeni alle mani dello Stato. Profumo giura che la banca «ce la può fa». Giustamente chiede «più rispetto» per un istituto glorioso, che è e deve restare un vanto per il brand Italia nel mondo, e che oggi è «una banca diversa» da quella del passato. Nessuno nega la portata ambiziosa e innovativa del nuovo management. La benefica «operazione trasparenza» avviata nove mesi fa sta dando i suoi frutti. Ma questa «glasnost», per quanto opportuna, ha anche un suo «costo», economico e sociale. Le continue rivelazioni sulle truffe orchestrate nella banca, gli interrogatori di ore e ore, le monetine lanciate contro Mussari, la raffica di arresti. Questo spargimento di carte bollate, secondo voci raccolte presso le autorità di vigilanza, starebbe creando una fuga crescente dei depositi, nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro. Un’emorragia che va fermata. Siena e l’Italia non si possono giocare così cinque secoli di storia.

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