E Saccomanni convoca i banchieri vertice segreto contro il credit crunch

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Mentre la politica resta ipnotizzata dall’Imu come una preda di fronte agli abbaglianti, qualcosa si muove su un fronte che per l’economia conta ben di più perché inibisce qualunque accenno di ripresa: l’illiquidità del sistema, la strozzatura del credito che in Italia paralizza le imprese e distrugge ogni giorno nuovi posti di lavoro.
Domani dal ministero dell’Economia partirà un pacchetto di inviti selezionati a un gruppo di una ventina di leader del sistema finanziario del paese. Per tutti l’appuntamento è al 16 luglio, martedì prossimo, a un convegno «a porte chiuse» in una saletta del Tesoro scelta fra quelle a capienza limitata. Non più di trenta persone in tutto. Per il ministero dovrebbero esserci sia il ministro Fabrizio Saccomanni,
che il direttore generale Vincenzo La Via; per la Banca d’Italia è atteso Salvatore Rossi, direttore generale a Palazzo Koch e presidente dell’Ivass, il regolatore delle assicurazioni. Gli inviti poi dovrebbero essere rivolti a Giovanni Bazoli, presidente del comitato di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, all’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni e, fra gli altri, ai numeri uno di Generali, di Unipol e di Allianz in Italia. Non mancherà neanche la Cassa depositi e prestiti, con il presidente Franco Bassanini, l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini o il direttore generale Matteo Del Fante.
La lista dei partecipanti per ora è sul tavolo di Lorenzo Codogno, il dirigente generale del Tesoro incaricato di condurre a termine l’operazione. Nell’elenco compare anche il nome di
qualche grosso studio legale e quelli dell’economista Nicola Rossi e di Alberto Avanzo, un banchiere con un passato a Morgan Stanley a Londra che ha una lunga esperienza nei canali del credito degli investitori alle imprese.
Il vertice, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto restare confidenziale. Dopo quasi due anni di caduta del credito, Saccomanni per primo sa che per far ripartire i prestiti occorre muoversi con discrezione e, se serve, affiancare alle banche altri polmoni finanziari che siano
ancora in grado di funzionare. In agenda sarà la creazione di “fondi di credito” a sostegno delle imprese: i fondi pensione, le Fondazioni di origine bancaria e le compagnie assicurative devono poter investire in bond e altri crediti al sistema industriale almeno una parte delle riserve. La loro massa di risparmio in Italia resta colossale, 800 miliardi di euro di cui 500 in mano agli assicuratori: spostare anche solo una frazione di queste risorse verso il finanziamento alle piccole e medie imprese può fare la differenza, dopo un crollo del
credito bancario di 38 miliardi nell’ultimo anno e mezzo.
Certo ci si sta muovendo in ritardo, al punto che le imprese per prime sono spesso andate a cercare interlocutori altrove. Quando di recente Illy Caffè ha collocato un bond a medio-lungo termine da 70 miliardi di dollari, le assicurazioni in Italia non si sono mosse; lo ha fatto invece una loro concorrente come la Prudential di Chicago, Illinois. E ora il tempo stringe: il centro studi Prometeia stima che, per sopravvivere e restare competitiva, l’industria italiana dovrebbe
investire almeno 150 miliardi nei prossimi tre anni, ma dalle banche non ne arriveranno più di 60. L’ambizione degli uomini che si parleranno martedì al Tesoro è spostare l’asse di un sistema che fino ad oggi è stato fin troppo banco-dipendente: in Italia oltre il 90% dei finanziamenti alle imprese arriva dagli istituti di credito, un record assoluto per i paesi avanzati. Ma ora che le banche sono frenate dall’aumento delle sofferenze e preferiscono puntare sui titoli di Stato, l’intero sistema produttivo rischia la paralisi per asfissia finanziaria.
Sterzare la nave in corsa non sarà semplice né rapido. Lo si è capito quando su iniziativa di Yoram Gutgeld, del Pd, la commissione Finanze della Camera ha iniziato a sentire su questo tema i principali banchieri italiani: questa settimana toccherà a
Enrico Cucchiani di Intesa Sanpaolo, la prossima a Alessandro Profumo di Mps. Tutti sono pronti ad aprire le porte ai fondi di credito, perché facciano un po’ del lavoro che in Italia è sempre stato una riserva di caccia esclusiva delle banche. Uno dei modelli a cui si guarda è la Francia, dove le compagnie assicurative sono tenute per legge a investire il 10% delle loro riserve in prestiti alle piccole e medie imprese. L’ex ministro Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni, è fra gli operatori più attivi nel cercare di immettere un sangue nuovo nel sistema finanziario prima che il
credit crunch
mieta ancora nuove vittime. Anche lui sa che, per l’Italia, la grande recessione può diventare l’opportunità per un cambio di pelle troppo a lungo rinviato.

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