Finisce il lavoro agile nella pubblica amministrazione
Obbligo di lavoro in presenza negli uffici statali per un dipendente su due.
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Obbligo di lavoro in presenza negli uffici statali per un dipendente su due.

Qualcuno tira un sospiro di sollievo, altri se la prendono col Ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta che ha deciso di rimandare il personale in ufficio. Del resto con la lenta riapertura delle attività commerciali, anche la necessità di smart working viene meno.

Smart working nella P.A. salta quota 50%

Così dal 1 maggio, anche la pubblica amministrazione torna alla normalità. Molti statali che avevano apprezzato il lavoro da casa, dovranno ora tornare negli uffici. Cosa che non vale per il settore privato, dove il comparto terziario si sta organizzando per rendere strutturale lo smart working.

La differenza fra lavoro statale e privato è però abissale. Nel primo caso lo smart working è stato interpretato più come un incentivo al rilassamento e a lavorare di meno. Mentre nel secondo caso, il contrario.

Lo si vede dai risultati dei servizi offerti. Secondo alcuni sondaggi, la maggior parte dell’utenza è insoddisfatta del lavoro agile dei dipendenti della pubblica amministrazione. Difficoltà a reperire informazioni, impossibilità a parlare con gli uffici, rallentamenti nello svolgimento delle pratiche e incagli burocratici impossibili da risolvere a distanza. Sono queste le doglianze più comuni dei cittadini.

La metà degli italiani boccia lo smart working

A bocciare lo smart working è quindi l’utenza. I servizi offerti, del resto, da quando è scoppiata la pandemia, sono peggiorati tantissimo e l’efficienza degli stessi è scesa ulteriormente. L’Inps, ad esempio, nonostante disponga di sistemi informatici efficienti e all’avanguardia non è stato in grado di soddisfare pienamente e nei tempi previsti le richieste dell’utenza lo scorso anno.

E così l’Agenzia delle Entrate i cui servizi territoriali allo sportello sono stati praticamente chiusi rimandando ogni informazione ai call center, spesso irraggiungibili. Lamentele che gli stessi sindacanti hanno evidenziato più volte sugli organi di stampa.

C’è poi chi se ne è approfittato stando a casa, lontano dai controlli e dai capi, con notevole disagio all’utenza in generale. Col risultato che in un periodo di emergenza sanitaria, benché sia stato necessario ricorrere al lavoro a distanza, ne è andata dell’efficienza della pubblica amministrazione.

I lavoratori bocciano il lavoro agile

Anche i lavoratori, in generale, però bocciano lo smart working. Quasi la metà di loro è insoddisfatta. Come emerge da una ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, il 71,1% dei lavoratori agili dichiara di aver “diminuito le spese per spostamenti, vitto e vestiario, investendo in consumi legati al tempo libero (nel 54,7% dei casi)“.

C’è poi un 48,3% che paga un conto salato sul fronte psico-fisico per l’utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate tra le mura domestiche. Stupisce, infine, nell’analisi dei consulenti, la differente reazione tra uomini e donne, rispetto agli incarichi svolti in smart working. In termini relazionali e di carriera, la componente maschile pare averne patito maggiormente (il 52,4% contro il 45,7% delle donne), guadagnando, tuttavia, in produttività e concentrazione.

Viceversa le donne hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (il 57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%). Evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso le proprie mansioni (44,3% rispetto al 37% dei colleghi).

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