Il fisco vince di più in Cassazione
prestazione occasionale

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Il fisco vince di più in Cassazion e. Il 63% dei ricorsi presentati dall’amministrazione finanziaria finisce con un giudizio di accoglimento. È quanto emerge dai dati sulle definizioni 2014 della quinta sezione e della sesta sottosezione tributaria della Suprema corte. Questo per quanto riguarda la capacità di ribaltare il giudizio dei gradi precedenti. Una forza che emerge anche da un’altra prospettiva. Se si guardano, infatti, i ricorsi presentati dal contribuente, quasi sei su dieci (ma considerando tutte le altre controparti, quindi per esempio anche gli enti territoriali) vengono rigettati o dichiarati inammissibili.

L’impressione che ne deriva, quindi, è di una maggiore attenzione alla tutela degli interessi erariali rispetto a quanto avviene nelle Commissioni tributarie provinciali e regionali, dove i collegi sono composti da giudici «provenienti» da altre magistrature, ma anche da professionisti. È anche vero, però, che ha sicuramente un peso e un’importanza il consolidarsi di orientamenti e il differimento temporale con cui temi e materie vengono affrontate in terzo grado rispetto ai primi due di merito.
Resta, però, il fatto che il contenzioso tributario in arrivo ogni anno in Cassazione è oltre un terzo di tutti i ricorsi depositati. Un dato che si riflette anche sull’arretrato che a fine del 2014 ha superato – stando ai dati della cancelleria civile – quota 41mila fascicoli con un balzo in avanti del 9% rispetto ai dodici mesi precedenti. Anche alla luce del dato complessivo sull’andamento dei ricorsi, fare ricorso in Cassazione può essere comunque un rischio «conveniente» se in un caso su due c’è la probabilità che poi venga accolto. Naturalmente, come anticipato, la convenienza è maggiore per l’amministrazione finanziaria (più del 90% sono contenziosi che riguardano Entrate, Equitalia o Mef) visto l’indice di successo. Al di là di questo, vanno attentamente ponderati due aspetti.
Il primo riguarda il rischio di incorrere in un’inammissibilità dell’istanza anche perché il ricorso in Cassazione richiede una preparazione specifica e competenze anche differenziate rispetto a quello di merito. Inammissibilità che ha riguardato il 10% dei ricorsi decisi lo scorso anno e presentati dal contribuente e addirittura il 15% di quelli presentati dai cosiddetti «altri enti», un’etichetta che contraddistingue, per esempio, Asl e università.
Il secondo aspetto riguarda i costi, soprattutto per il contribuente, che deve pagare il contributo unificato mentre l’amministrazione finanziaria lo prenota a debito perché verrà messo a carico della controparte (se risulterà soccombente). E gli introiti da contributo unificato non sembrano così poco rilevanti se si pensa che i ricorsi definiti dalla quinta sezione e dalla sesta sottosezione tributaria valgono quasi 1,9 milioni di euro.
Dietro le motivazioni di arrivare all’extrema ratio del ricorso in Cassazione ci potrebbero essere ragioni diverse. Non contribuisce sicuramente l’incertezza normativa che in ambito tributario sembra portata all’ennesima potenza da cambi di regole in corsa, retroattività delle disposizioni, esigenze di continue interpretazioni. Ma anche la crisi può aver giocato il suo ruolo nel senso che anche il contribuente potrebbe essere tentato di portare avanti il contenzioso per non dover pagare cifre che mettano a repentaglio la sua attività. Del resto, le statistiche sul valore della lite del contenzioso entrante dimostrano che si va molto più difficilmente in Cassazione per liti di poco valore (solo il 10% è fino a 5.200 euro) mentre in oltre la metà dei casi la controversia è da 52mila euro a salire, con addirittura un 11,5% del totale che supera i 520mila euro.

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