Piero Antonio Billò, segretario nazionale dell’R12 ci spiega quali sono i principali nodi che il secondo correttivo al D.Lgs 141/2010 ha mancato di sciogliere e cosa è necessario fare per riparare agli errori commessi.
“Contrariamente anche ai pareri delle Commissioni di Camera e Senato, il correttivo approvato in via definitiva disattende completamente anche quanto da voi espresso rispetto all’opportunità e all’istituto giuridico scelto a disciplinare la figura del collaboratore del mediatore creditizio, lasciando di fatto immutata la versione del I correttivo che vede tali operatori assoggettati al contratto di agenzia”. Questo è il passo centrale della lettera che insieme a Cgil, Cisl, Ugl e Fimaa avete inviato al ministero del Lavoro. Chiaramente considerate quello dei collaboratori uno dei problemi centrali della riforma. Avete avuto riposta?
Al momento no, e infatti siamo in attesa di capire quale sia la differenza tra un collaboratore e un agente di commercio. Comunque già una volta il ministero si è dimostrato attento a queste problematiche e dunque siamo fiduciosi che alla prima data utile saremo convocati nuovamente per discutere della questione e aprire un tavolo.
Tra tutti i sindacati siete quelli che hanno espresso la posizione più dura nei confronti del monomandato. Perché siete contrari?
Noi siamo fermamente convinti che il monomandato non abbia alcuna ragione di esistere. Primo perché non è mai stato richiesto dalla normativa europea sul credito al consumo; e secondo perché si pone in contrasto con le norme italiane sulle liberalizzazioni, che per gli agenti di assicurazione, ad esempio, prevede obbligatoriamente un secondo mandato. Troviamo paradossale che questo non sia previsto per un agente del credito. Del monomandato non si avvantaggeranno certo i consumatori, che anzi saranno penalizzati, ma piuttosto gli istituti eroganti, che potranno vendere i loro prodotti senza aver più alcuna concorrenza o, peggio, costituendo un cartello come è successo per le assicurazioni. Tutto questo si tradurrà in tassi più alti, costi più elevati e maggiori difficoltà a reperire valide alternative rispetto a quella proposta da un determinato agente. In parole povere si tratta di una palese assurdità. Proprio per questo noi sindacati abbiamo deciso di indirizzare una lettera a Barroso, il presidente della Commissione europea, per sottoporgli la questione. Ora siamo in attesa di una sua risposta.
Avete più volte accusato apertamente l’Organismo di non essere in grado, per come è strutturato, di gestire il comparto della mediazione e di rappresentare le istanze avvertite dai suoi operatori. Cosa non funziona secondo voi nell’Oam?
Facciamo un esempio concreto. Chi aveva i requisiti per operare fino all’entrata in funzione dell’Oam, oggi, a meno che non abbia un diploma di scuola superiore ottenuto in un corso di durata quinquennale non può più esercitare la sua professione. Ci sono agenti che sono in questo settore da venti e più anni che a causa di queste regole si ritrovano tagliati fuori. Basta considerare che in passato tutti i diplomi magistrali erano conseguiti dopo un corso di durata quadriennale. Quindi chi ha conseguito quel titolo, al momento non è considerato in possesso dei requisiti minimi per lavorare in questo settore. A tutto questo l’Organismo non ha pensato. E la ragione è che al suo interno non c’è nessuno che abbia fatto il mediatore o l’agente per venti anni: vengono tutti da altri settori. Mi chiedo dunque come possano pensare di capire quali sono le esigenze di chi invece lavora in questo campo da una vita. A questo riguardo torniamo a denunciare l’esclusione delle rappresentanze sindacali dal board dei componenti dell’Oam.
Riguardo all’iscrizione agli elenchi, oltre al problema dei requisiti ce n’è anche uno collegato al portafogli…
Certamente sì. Innanzitutto vi è un’intollerabile diseguaglianza di trattamento tra un agente in attività finanziaria e un mediatore, ossia un’azienda di grandi proporzioni: in base alle nuove norme questi due soggetti sono tenuti a versare la stessa quota d’iscrizione. E in secondo luogo è necessario pagare una quota intera anche se l’anno in corso ormai è praticamente finito. È una palese ingiustizia, un’imposizione assurda dettata unicamente dalla necessità dell’Organismo di fare cassa. Per tale ragione il nostro sindacato condivide in pieno la protesta dei promotori finanziari, che rifiutano il doppio albo e che attraverso l’Anasf hanno già raccolto oltre 7.000 firme per esprimere la propria contrarietà al nuovo sistema. Continuiamo a sostenere che l’Organismo non abbia alcun titolo per richiedere un’iscrizione a soggetti che sono già iscritti alla Consob, sostengono un esame e operano per conto delle banche.
Cosa salvereste dunque della riforma della mediazione appena varata?
Il nostro sindacato condivide questa riforma e il suo impianto generale, e plaude il lavoro che è stato fatto; al tempo stesso però siamo intenzionati a fare il possibile affinché il prossimo governo intervenga con una revisione globale della nuova disciplina per quello che riguarda gli agenti e i mediatori. Nel prossimo periodo ci aspettiamo un aumento del contenzioso. Per questo abbiamo messo al lavoro i nostri legali affinché possano essere individuati, se possibile, dei percorsi per ricondurre nei binari della legislazione europea le varie storture giuridiche contenute nella disciplina uscita dal secondo correttivo. Accanto a questo stiamo preparando una serie di ricorsi per tutti coloro che erano in precedenza in possesso dei requisiti per esercitare la professione e che ora si vedono negato il diritto ad iscriversi nei nuovi elenchi dell’Oam. Una cosa che non si è mai sentita a memoria d’uomo.