Indagini sui conti 2009. I dubbi di Caltagirone sulla cedola da un centesimo

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C’è un atto che sembra essere diventato lo snodo fondamentale per ricostruire che cosa accadde dopo l’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi. È il bilancio 2009 che, come si è scoperto soltanto nel settembre scorso, era in realtà «truccato» grazie al contratto con Nomura, che consentiva di occultare le perdite causate dal derivato Alexandria. Perché il consiglio di amministrazione diede il via libera? E, soprattutto, perché si decise di assecondare la scelta del presidente Giuseppe Mussari di distribuire un centesimo alle azioni di risparmio? Il sospetto degli inquirenti è che già allora ci fosse qualcuno – oltre allo stesso Mussari, al direttore generale Antonio Vigni e al capo dell’Area Finanza Gianluca Baldassarri – a conoscenza di quanto era stato fatto per tentare di nascondere la falla nelle casse della banca senese. E, per questo, si è deciso di riesaminare i verbali che documentano le posizioni dei vari consiglieri sia sul consuntivo, sia sul pagamento delle azioni. Anche perché, proprio su questo, avrebbe manifestato perplessità l’allora vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone.

Per i pubblici ministeri Natalino Nastasi, Aldo Natalini e Francesco Grosso si apre dunque una nuova settimana calda con l’interrogatorio di numerosi indagati. Nelle prossime ore tornerà Vigni, poi toccherà a Mussari. I magistrati vorrebbero sentire anche Baldassari e il suo vice Alessandro Toccafondi, sospettati di essere al vertice di quella «banda» che percepiva una percentuale illecita pari al 5 per cento di ogni affare concluso. E a tutti contesteranno non soltanto la «plusvalenza» pagata per acquisire Antonveneta, ma anche ogni operazione effettuata in seguito. Convinti – perché questo emerge dalle ultime informative consegnate dai finanzieri del Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo – che il vero disastro patrimoniale sia stato compiuto al momento di sottoscrivere il contratto «Fresh» da un miliardo di euro con Jp Morgan.

L’interesse per il ruolo avuto in questa partita dai componenti del consiglio d’amministrazione è legato proprio a quanto accade dopo l’accordo con la banca d’affari, che nelle comunicazioni al mercato e alla vigilanza era stato fatto passare come un aumento di capitale, mentre si trattava di un vero e proprio prestito. Agli obbligazionisti era stata garantita una cedola lorda pari al 4,25 per cento più il tasso Euribor, che però non veniva incassata se la banca non faceva utili. Un patto che però si è stati costretti a modificare nel 2009, quando la Banca d’Italia impone di rafforzare il rischio dei bond e i vertici di Mps chiedono a chi aveva sottoscritto il «Fresh» di rinunciare ai propri diritti. Non solo l’istanza viene negata, ma è necessario firmare una indemnity che trasferisce proprio su Mps tutti i rischi.

Per Mussari e gli altri manager si tratta evidentemente del momento peggiore, quello più rischioso. Bisogna rispettare gli impegni senza far emergere i retroscena del «Fresh». Bisogna pagare la cedola cercando di limitare le altre «uscite». Accade dunque ciò che non era mai successo in precedenza: il presidente decide di «onorare» soltanto le azioni a risparmio e di versare per ognuna appena un centesimo. Sembra una beffa. È invece, ma questo si è scoperto soltanto adesso, il tentativo di rinviare la resa dei conti. Possibile che i componenti del consiglio non lo avessero capito? A questa domanda vogliono rispondere i pubblici ministeri e un aiuto potrebbe arrivare proprio dalle dichiarazioni degli indagati. Su questo avrebbe cominciato a parlare lo stesso Vigni.

I verbali e i documenti acquisiti negli ultimi giorni avrebbero fatto emergere un asse di ferro tra Mussari e Baldassari, che potrebbe aver messo nell’angolo rispetto alle decisioni più importanti proprio il direttore generale. Un legame che potrebbe celare interessi anche economici. Per questo ci si concentra sulla gestione dei soldi da parte della società bolognese Galvani, cui l’ex capo dell’Area Finanza aveva affidato circa 20 milioni di euro. Il sospetto è che altri manager Mps possano essersi affidati alla stessa finanziaria per investire il proprio denaro. Per questo si stanno esaminando decine di conti correnti e di operazioni autorizzate negli ultimi anni.

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