La Banca Centrale Europea aveva lanciato l’allarme recessione già lo scorso agosto
Nelle ultime settimane i numeri della pandemia sono tornati a correre, in maniera molto più veloce che in primavera.
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Nelle ultime settimane i numeri della pandemia sono tornati a correre, in maniera molto più veloce che in primavera. Irlanda, Francia, Germania, Austria e Regno Unito hanno già dichiarato un nuovo lockdown nazionale, mentre nelle altre nazioni (Italia, Spagna, Belgio, Portogallo, Paesi Bassi e Danimarca tanto per citarne alcuni) sono previste misure restrittive per spostamenti e attività produttive.

E anche se al momento non sono disponibili dati sugli effetti della seconda ondata sul commercio e sulla produzione industriale, molti stati (e organizzazioni economico-finanziarie) iniziano già ad abbassare le previsioni di crescita per il quarto trimestre 2020. Dopo un terzo trimestre in forte crescita – addirittura superiore alle stime più rosee – gli ultimi tre mesi dell’anno si prospettano particolarmente bui.

I segnali di una recessione imminente

Il campanello d’allarme, in questo senso, è stato fatto squillare dall’indice PMI del mese di settembre. Questo indicatore monitora variabili come produzione, nuovi ordini, livelli occupazionali e prezzi per fornire un quadro sulle condizioni del mercato nazionale e internazionale nei mesi a seguire. A settembre 2020, dicevamo, l’indice PMI dell’Unione Europea è tornato al di sotto della soglia dei 50 punti, segno che l’economia continentale sta entrando in una fase di contrazione. Che, molto probabilmente, dovrebbe tradursi in un nuovo calo del PIL nel quarto trimestre dell’anno.

Un’opinione condivisa da economisti, analisti e membri del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea. Lena Komileva, chief economist di G+ Economics si dice sorpresa della velocità della propagazione della seconda ondata, aggiungendo che le nuove misure restrittive non potranno non portare a una seconda “ondata” recessiva. Klaas Knot, governatore della Banca Centrale olandese e membro della BCE, parla invece di una situazione economica in peggioramento.

L’eredità della prima ondata

Un aspetto positivo di questa seconda ondata – se così si può dire – è che ormai ci abbiamo fatto il callo. E molte delle misure di protezione e sicurezza introdotte nei mesi caldi del primo lockdown saranno d’aiuto per mantenere in moto la produzione anche in caso di nuova quarantena. Ne sono convinti, ad esempio, i dirigenti di Kone, azienda finlandese tra le maggiori produttrici al mondo di ascensori ed elevatori, che hanno deciso di non smantellare “l’unità di crisi” nonostante in estate i numeri si fossero abbassati. In questo modo la supply chain non dovrebbe subire interruzioni e garantire così la business continuity.

Un approccio sposato anche da altre realtà produttive del Vecchio Continente, che proveranno a restare aperte, anche a fronte di contagi in costante crescita, adottando misure di prevenzione più stringenti. In questo saranno aiutate dai governi centrali dei vari stati europei che, a differenza di quanto accaduto nel corso della passata primavera, sembrano essere apparentemente più restii ad adottare misure di chiusura generalizzate per evitare un nuovo trimestre di pesante recessione. “Difficilmente i governi ricorreranno nuovamente al lockdown totale – afferma Jörg Krämer, chief economist di Commerzbank –. I costi economici sarebbero insostenibili”. Insomma, la lezione della prima ondata sembra essere servita a qualcosa.

Ripresa italiana: il ruolo dei macchinari

E dire che le prospettive del terzi trimestre avevano fatto ben sperare e avevano portato la Banca Centrale Europea a rivedere (al rialzo) le stime per l’ultimo trimestre del 2020. Ora, invece, anche i più “rigoristi” tra i consiglieri della BCE prevedono che sarà necessaria un’altra iniezione di liquidità – si parla di un intervento da 500 miliardi di euro – per evitare che alla recessione si aggiunga anche l’inflazione negativa.

L’economia del nostro Paese, come accennato, aveva addirittura performato meglio delle previsioni del Governo e delle istituzioni europee. Secondo i dati provvisori diffusi a fine ottobre dall’ISTAT, tra luglio e settembre il PIL italiano è cresciuto del 16,1% e, nonostante il calo preventivabile a causa delle nuove restrizioni, nel biennio 2021-2022 la ripresa dovrebbe essere guidata da massicci investimenti in macchinari.

Secondo una ricerca dell’Ufficio Studi di Confartigianato, la manovra di bilancio 2021-2023 dovrebbe incentivare gli investimenti in macchinari, specialmente tra le piccole e medie imprese. Potendo contare su incentivi di natura fiscale, le MPMI italiane punteranno sulla digitalizzazione dei processi e sull’industria 4.0, con l’obiettivo di migliorare produttività ed efficienza energetica degli impianti. In questo modo, si genererà un flusso di investimenti pari a 37,5 miliardi di euro (pari al 2,2% del PIL nazionale), capace così di trainare la ripresa nel medio e lungo periodo.

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