La banca del futuro sarà così: filiali leggere e tutto sul web

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Tornare indietro non si può. L’attività bancaria in Europa e, soprattutto, in Italia ha evidenziato criticità che richiedono soluzioni drastiche. La «vecchia» filiale con casse, sportellisti e fila di clienti è destinata a riempire qualche pagina dell’album dei ricordi. Il futuro è rappresentato dalla digitalizzazione.
L’immobilismo, infatti, rischia di aggravare la crisi. A ricordarlo è Bain & Company sottolineando che la percentuale di vendite effettuata nelle filiali entro il 2015 è destinata a scendere al 60% del totale (era il 90% nel 2000), mentre il restante 40% sarà appannaggio di Internet. Le visite di ogni singolo cliente allo sportello sono destinate a ridursi a una al mese (erano due nel 2000) entro il 2015, quando il 90% delle operazioni (come pagamenti, bonifici e acquisto di titoli) sarà realizzato online.
Anzi, c’è di più, la società di consulenza ha elaborato un’analisi intitolata La sfida digitale nelle banche commerciali che disegna già la filiale del futuro. Negli Usa il 36% dei clienti con reddito sopra i 100mila dollari comunica con la banca via smartphone o tablet, il 70% degli utenti degli istituti si informa via Internet e l’unica professionalità irrinunciabile per il 72% di loro è il consulente finanziario. La soluzione è investire nello sviluppo delle piattaforme tecnologiche. Il modello è il «Project Rainbow» di Citigroup che ha investito 350 milioni di dollari per creare un sistema unificato che assembla tutte le informazioni di contatto della clientela (conto in banca, carte di credito, portafoglio titoli e interazioni sui social network). In questa nuova prospettiva le «antiche» filiali si trasformeranno in boutiquedove concludere una transazione oppure ricevere maggiori informazioni sulle proposte che la banca ha inviato via Internet.
Il cambiamento contiene in sé un risparmio notevole: il canale tradizionale oggi assorbe il 50% dei costi delle banche, mentre Internet ridurrebbe del 75% le spese. Si tratta di un’esigenza irrinunciabile per un settore colpito dalla crisi economica. Come ha evidenziato R&S Mediobanca, infatti, nel 2012 i profitti dei 20 principali istituti di credito europei sono diminuiti in media del 30% su base annua. Le ragioni sono note: i ricavi da interessi sono in costante flessione (-3,4%) a causa del taglio dei tassi della Bce. La recessione ha frenato la vendita di prodotti (mutui, finanziamenti, fondi, ecc.) facendola sprofondare del 15% circa. Il modello ad alta intensità di lavoro (incidenza del 60% dei costi sui ricavi) non è più sostenibile, come ha ricordato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.
Le banche italiane, per cui si stimano altri 35mila esuberi su una popolazione complessiva di 330mila dipendenti, potrebbero ridurre ancora il personale? La risposta non è necessariamente affermativa. Occorre tuttavia ricordare che alcuni analisti ritengono ridondante il 30% della forza lavoro e che Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum (istituto che nel 2012 ha ottenuto risultati record), ha recentemente ribadito che «in Italia 56 sportelli ogni 100mila abitanti sono troppi e un sistema efficiente potrebbe fare le stesse cose con 160mila dipendenti». Esternalizzare gli esuberi in una società terza, infatti, comporta due rischi: i dipendenti non accettano di abbandonare il favorevole contratto bancario e, in molti casi (ultimo quello di Mps), il sindacato chiede il «paracadute», cioè la riassunzione in banca nel caso la nuova proprietà voglia ridurre il personale. Un buon compromesso potrebbe essere invece lo spostamento degli esuberi (previa formazione interna) verso altre operazioni che in alcuni casi sono appaltate all’esterno, come l’elaborazione delle pratiche di credito.

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