La Corte di appello di Brescia ha preso in esame un caso sulle obbligazioni argentine
Prima missione di sistema per l’ABI e le banche italiane in Argentina

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A tal proposito ricordiamo che i bond argentini, denominati anche tango bond, sono i titoli di Stato della Repubblica argentina, equivalenti ai nostri Bot e Btp, strumenti finanziari con i quali i risparmiatori che acquistano titoli del debito pubblico diventano creditori nei confronti dello Stato che li emette e che si obbliga a restituire loro, cioè a rimborsare a scadenze prestabilite, il capitale investito e gli interessi previsti. Nel caso delle obbligazioni argentine pertanto, l’Argentina avrebbe dovuto rimborsare a scadenza il capitale investito ai risparmiatori che li avevano acquistati ma, a dicembre del 2001, il governo argentino ha dichiarato l’insolvenza ed i risparmiatori italiani rimasti coinvolti sono stati circa 450.000 per un controvalore complessivo di 14,5 miliardi di dollari, all’epoca corrispondenti a 12,8 miliardi di euro, pari a quasi un punto percentuale del nostro P.i.l.

Ciò premesso, la fattispecie esaminata riguarda il caso dell’acquisto di obbligazioni argentine operato all’inizio dell’anno 2000 da due clienti di una banca, i quali si sono rivolti al Tribunale di Mantova chiedendo che venisse annullato l’ordine di acquisto e che venisse loro restituita la somma di euro 25.923,55 corrispondente alla somma investita. I clienti hanno sostenuto di avere concluso con la banca un contratto di negoziazione in strumenti finanziari e di avere sottoscritto il relativo questionario sulla propria situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento, e che sulla base di esso era stato compiuto l’acquisto delle obbligazioni argentine. In particolare affermavano che la banca aveva realizzato una sollecitazione all’investimento di titoli che non potevano essere venduti a privati risparmiatori in violazione dell’art. 94 del d. lgs. n. 58/98, e che erano stati loro venduti titoli altamente rischiosi, destinati ad investitori professionali aventi finalità speculative. Inoltre sostenevano che la banca aveva omesso di informarsi sulla loro situazione economica e di fornire loro utili informazioni sulle caratteristiche e sulla rischiosità dei titoli, con conseguente vendita di titoli inadeguati rispetto al loro profilo di rischio, non avendoli informati del suo conflitto di interesse nella vendita nè, dopo la vendita, del declassamento del loro rating.

La banca, dal canto suo,  ha sostenuto che le asserite violazioni delle disposizioni del d. lgs..n. 58/98, che peraltro negava essere sussistenti, non davano comunque luogo né alla nullità né alla risoluzione dell’ordine di acquisto, come preteso dagli attori; inoltre  affermava che aveva raccolto le informazioni necessarie per determinare il loro profilo di investimento ed aveva dato loro, nella specifica occasione della vendita delle obbligazioni, tutte le informazioni necessarie sulle loro caratteristiche e sulla loro rischiosità. Sul punto evidenziava come i molteplici investimenti in titoli dei due clienti, anche azionari, non potevano farli ritenere investitori inesperti e l’inadeguatezza dell’operazione oggetto di controversia era stata loro correttamente segnalata, dunque non potevano dolersene.

Poichè il Tribunale di Mantova aveva rigettato tutte le richieste dei due clienti, questi hanno deciso di proporre appello per chiedere l’accoglimento di tutte le domande formulate in primo grado.

La Corte di Appello di Brescia ha quindi proceduto all’analisi di ciascuna doglianza degli attori e, in merito alla richiesta di dichiarazione di nullità dell’ordine di acquisto per illecita sollecitazione all’investimento (che sarebbe stata confermata, a detta degli attori, anche dalla testimonianza di un dipendente della banca che ha dichiarato che l’emissione ufficiale dei titoli è avvenuta dopo gli ordini di acquisto della clientela relativi alla stessa emissione), ha riconosciuto la corretta interpretazione del Tribunale di Mantova sul punto, in quanto non può dirsi nella fattispecie sussistente una ipotesi di “sollecitazione” all’investimento posto che per aversi sollecitazione al pubblico di cui alla previsione normativa è necessario “ravvisare lo svolgimento di una attività di tipo promozionale qualificabile come “offerta”/”invito a offrire”/ “messaggio di tipo promozionale”, la sussistenza di un pubblico indifferenziato di soggetti, l’adozione di modalità uniformi e standardizzate, non essendo questo il caso di specie, dove la banca ha solo negoziato con i propri clienti in contropartita diretta, legittimamente vendendo agli attori obbligazioni che potevano essere collocate anche sul mercato secondario”. La Corte ha quindi ricordato le differenze, indicate anche dalla giurisprudenza di legittimità, tra “sollecitazione all’investimento” e “servizi di investimento” (tipologia riguardante il caso in esame), in base alla quale, nel primo caso, risulta necessaria la pubblicazione del prospetto informativo, mentre nel secondo la tutela del cliente è affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, come previsto dal d. lgs..n. 58/98, che sono stati tutti adempiuti dalla banca.

Anche sul secondo motivo di impugnazione, riguardante l’incapacità a testimoniare e l’inattendibilità del teste dipendente della banca, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale di Mantova, chiarendo che fondandosi l’eventuale responsabilità del dipendente bancario su un titolo diverso da quello dedotto in causa, l’interesse di cui risultano portatori i dipendenti non è diretto ed attuale, ma solo riflesso, di mero fatto, rilevando come la giurisprudenza di legittimità abbia in più occasioni escluso l’incapacità a testimoniare dei dipendenti della banca che, in ipotesi, potrebbero essere ritenuti responsabili verso la stessa di quelle operazioni in base alle quali essa è stata evocata in giudizio, ricorrendo l’incapacità prevista dall’art. 246 c.p.c. solo quando una persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto e attuale. In questo caso non solo non ricorre tale circostanza ma risulta documentalmente provato sia che il teste informò i clienti circa l’inadeguatezza e la rischiosità dell’operazione sia che la banca ha assolto a tutti gli obblighi informativi, ciò che ha costituito il terzo motivo di impugnazione. Ma anche su tale punto la Corte di Appello ha osservato che i clienti avevano concluso il contratto di negoziazione dei titoli e che avevano ricevuto il documento sui rischi generali e la scheda delle informazioni fra gli intermediari e gli investitori, da cui risulta una “media” esperienza negli investimenti ed una propensione al rischio “media”.

La Corte ha inoltre ricordato come sia un dato di comune esperienza che nel gennaio dell’anno 2000 le banche non disponevano di dati particolari dai quali desumere la rischiosità del titolo di portata  superiore a quella che si può assegnare alle obbligazioni emesse da un “paese emergente” non europeo; “nella specie non vi erano dunque elementi tali da fare ragionevolmente ritenere che i titoli in questione destassero particolare sospetto negli operatori di mercato”.

Sull’inadeguatezza della operazione, facendo leva sulla violazione degli obblighi informativi nonché sulla condizione personale degli appellanti, pensionato l’uno e insegnante a reddito fisso l’altra, la Corte ha affermato che gli appellanti non risultavano sprovveduti risparmiatori, essendo all’epoca dell’acquisto dei titoli, il marito dipendente dell’aeronautica militare e, la moglie, laureata, insegnante di scuola superiore, persone che avevano diversificato i propri risparmi già negli anni precedenti con investimenti in titoli anche azionari. Infine, circa la lamentata mancanza, da parte della banca, dell’informazione sui gravi e reiterati declassamenti del rating dei bond argentini, la Corte ha ricordato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui nessuna violazione può addebitarsi all’intermediario con riferimento al comportamento successivo all’acquisto degli strumenti finanziari qualora l’investitore non gli abbia conferito un mandato di gestione patrimoniale, ma esclusivamente l’effettuazione del servizio di negoziazione di valori mobiliari allo scopo di acquistare e vendere determinati strumenti finanziari di volta in volta scelti dal cliente, senza alcun margine di discrezionalità in capo all’intermediario – come nel caso di specie – perché il mandato conferito a quest’ultimo non implica alcun obbligo di informazione successiva all’acquisto, esaurendo i propri effetti con la pura e semplice esecuzione di ogni singola compravendita.

Pertanto la Corte di Appello di Brescia  ha ritenuto la sentenza del Tribunale di  Mantova immune da vizi, puntualmente argomentata sulla base delle risultanze istruttorie e del tutto condivisibile,  respingendo conseguentemente l’appello proposto.

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