La rivoluzione parte da noi: c’è speranza nel Nobel per la Pace di Malala Yousafzai
La storia del premio Nobel a Malala Yousafzai merita d’essere raccontata ancora e ancora, per evitare a tutti i costi che la memoria si affievolisca e le nuove generazioni non sappiano. Il suo è un esempio di cruciale importanza, un promemoria all’animo di tutti noi: la rivoluzione appartiene ai singoli gesti di protesta. Aveva soltanto…

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La storia del premio Nobel a Malala Yousafzai merita d’essere raccontata ancora e ancora, per evitare a tutti i costi che la memoria si affievolisca e le nuove generazioni non sappiano. Il suo è un esempio di cruciale importanza, un promemoria all’animo di tutti noi: la rivoluzione appartiene ai singoli gesti di protesta.

Aveva soltanto 11 anni Malala Yousafzai quando iniziò a scrivere un blog per la BBC. Una storia a dir poco complessa, la sua, o per meglio dire una vita. Raccontava la vita scolastica a Mingora, chiamata a fronteggiare quotidianamente l’editto dei Talebani del 2009, che obbligava alla chiusura delle scuole femminili.

In un mondo in cui gridare la propria verità al mondo, la propria quotidianità, è peccato, il suo attivismo dichiarato contro l’estremismo le è quasi costato la vita. Nel 2012, poco più di due anni prima della ricezione del premio Nobel per la pace, venne ferita gravemente proprio mentre tornava da quella scuola. Ha così avuto inizio una nuova esistenza per lei e, al tempo stesso, una nuova bandiera della resistenza è nata.

Il Nobel a Malala Yousafzai

A soli 17 anni, è divenuta la più giovane ad aver mai ricevuto il Nobel. La motivazione fu, in breve, “per la sua lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”.

Un simbolo, lei, ma anche una giovane donna intenzionata a vivere in controllo del proprio corpo e della propria mente. Rinata dopo l’operazione, ha dato il via su scala globale a una lotta per garantire il diritto all’istruzione nel mondo, affinché sia uguale ovunque.

Il discorso di Malala Yousafzai

La lotta di Malala Yousafzai non si traduce nel contrasto all’Islam. Molto spesso infatti la giovane attivista è stata strumentalizzata per demonizzare un mondo religioso che, come in molti casi, presenta degli estremismi atroci.

Nel ringraziare i suoi genitori, nel corso del discorso d’accettazione del premio Nobel per la pace, lo ha ben chiarito. Si è rivolta a sua madre, ringraziandola per averle insegnato la pazienza e l’importanza di dire sempre la verità: “Quello che crediamo essere il vero messaggio dell’Islam”. Si è poi rivolta a suo padre, che ha avuto il coraggio di non tarparle le ali, consentendole di volare anche in un mondo tormentato come il loro.

Ben consapevole del fatto che un premio non cambierà il mondo, che guardarsi indietro ed essere fieri e soddisfatti di quanto fatto non modificherà le condizioni di vita di milioni di bambini. A loro va il suo pensiero. Parla di bambini dimenticati e spaventati, che non desiderano altro che la pace. Il suo ruolo, quello che in maniera anche forzata dagli eventi ha accettato, è dar loro voce: “Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, così da fare in modo che sia l’ultima volta che a dei bambini venga sottratta l’istruzione”.

E poi l’incitamento alla sua generazione, ai ragazzi che sognano un presente e un futuro diversi per sé e gli altri. Alzare la testa, in tutto il mondo, è l’unica forma di risposta possibile. Lottare per sé e per chi verrà: “Che sia l’ultima volta che dei bambini spendano l’infanzia in una fabbrica, siano costretti a sposarsi, muoiano in guerra. L’ultima volta che una classe resti vuota e l’istruzione diventi un crimine”.

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