Mani in alto! Questo è un prestito

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In Italia nove aziende indebitate su dieci sono vittime di usura da parte delle banche creditrici. E spesso non lo sanno neanche. Ma liberarsi di spese truffa e tassi di interesse criminali è più facile di quanto sembra.

«Continuavano a martellarmi con le loro richieste di rientro dalle mie esposizioni, volevano più garanzie di quelle che potevo dargli, ormai tutte le volte che squillava il telefono stavo male», racconta Paolo, imprenditore 44enne del bresciano. «Allora mi sono rivolto a una di quelle società di avvocati e commercialisti che ti aiutano a capire se ci sono anomalie nel rapporto della tua azienda con le banche o con Equitalia, e dalla loro perizia è saltata fuori la verità: dei 491 mila euro di interessi e commissioni che avevo pagato alla mia banca negli anni, 441 mila non erano dovuti e me li dovevano restituire! Adesso sono loro che hanno paura delle mie telefonate». Tempi duri per gli imprenditori italiani indebitati sull’orlo del fallimento, ma tempi duri anche per le banche che hanno a che fare con loro. Spinti con le spalle contro il muro da istituti di credito a caccia di liquidità, di occasioni per rinforzare il loro patrimonio e di qualunque mezzo per difendere la loro redditività in tempi di crisi, gli imprenditori contrattaccano. E viene alla luce quello che secondo gli specialisti è il segreto di Pulcinella del sistema creditizio italiano, ma per i clienti e i semplici osservatori è una sconvolgente sorpresa: molte banche italiane possono essere accusate di praticare l’usura e l’anatocismo, illeciti che la legge italiana punisce a livello civile e penale.

«In poco più di due anni di attività abbiamo esaminato oltre 20 mila conti correnti bancari di migliaia di imprese e professionisti, e abbiamo riscontrato usura oggettiva o soggettiva (le due fattispecie che la legge italiana riconosce e punisce, ndr) approssimativamente nel 90 per cento dei casi, anatocismo nel 60 per cento», spiega Roberto Venezia, managing director all’Sdl Centrostudi, una delle società di consulenza più quotate del settore. «Spesso le cifre non dovute, che la banca dovrebbe restituire in base alle normative vigenti, equivalgono all’80-90 per cento di ciò che il cliente ha pagato sotto forma di interessi passivi e commissioni». Confedercontribuenti Veneto ha diffuso nell’ottobre scorso un documento che stima a 83 miliardi di euro l’esposizione delle imprese con sede nella regione nei confronti del sistema bancario, ma valuta pure a 40 miliardi la cifra che le stesse banche dovrebbero restituire alle aziende per interessi e commissioni non dovuti: un dimezzamento dell’indebitamento delle imprese. Possibile? Possibilissimo, se riusciamo a capire di cosa stiamo parlando.

A rigor di legge
L’anatocismo è quella scorrettezza con cui la vostra banca vi fa pagare l’interesse composto anziché l’interesse semplice sul debito che avete contratto con la medesima. Supponiamo che l’istituto vi abbia prestato 100 mila euro a un tasso trimestrale del 5 per cento. Il calcolo corretto prevederebbe che in un anno voi paghiate 20 mila euro di interessi. Ma molte banche ve ne farebbero invece pagare 21.550,63: calcolerebbero l’interesse passivo del secondo trimestre non sui 100 mila euro prestati, ma sulla passività di 105 mila che si è creata nel vostro corrente con l’addebito degli interessi del primo trimestre, e continuerebbero a farvi pagare gli interessi sugli interessi a ogni nuovo trimestre. La legge lo proibisce, ma alcune lo fanno. Sono tenute a restituire la cifra che eccede l’interesse semplice.

Un po’ più complessa la questione dell’usura, da sempre proibita e punita dal codice penale (articolo 644). Che cosa precisamente dovesse intendersi per usura lo hanno poi stabilito successive leggi in materia, l’ultima delle quali, tuttora in vigore, è la numero 108 del 1996, modificata nel 2011. La legge stabilisce che si dà usura soggettiva quando il tasso annuo effettivo globale (Taeg) pagato per interessi, commissioni e spese dal cliente di un istituto di credito supera il Tegm, che sarebbe il tasso effettivo globale medio fissato trimestralmente dal ministero dell’Economia sulla base di rilevamenti forniti dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio nazionale cambi per ogni determinata tipologia di servizio finanziario. Ma non è tutto. La legge stabilisce che ci si trova di fronte a usura oggettiva se il Taeg del cliente supera il “tasso soglia”. Il tasso soglia è la percentuale che si ottiene sommando il Tegm col 25 per cento del suo stesso valore, più 4 punti percentuali secchi.

Supponiamo che ministero dell’Economia e Banca d’Italia abbiano notificato che in un certo trimestre il Tegm è pari al 10 per cento: il tasso soglia sarà allora del 16,5 per cento, cioè 10 più 2,5 più 4. Allora una banca sarà accusata di praticare tassi usurari soggettivi se supera il 10 per cento e tassi usurari oggettivi se supera il 16,5 per cento.

Il trucco che va per la maggiore
Come può succedere che un alto numero di banche nei rapporti coi clienti superi questi tassi, che non dovrebbe essere difficile tenere sotto controllo? Forse perché a determinare la sussistenza dell’usura non concorrono solo i tassi passivi su fidi, affidamenti eccetera, ma anche altre voci che le banche pensano di poter tenere fuori dal conteggio. L’articolo 644 del Codice penale e l’articolo 1 della legge 108/96 parlano chiaro e a una sola voce: «Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito». Effettivamente l’indiziato numero uno dell’usura bancaria è la “commissione di massimo scoperto”, soppressa nel 2007 ma reintrodotta dalle banche sotto varie denominazioni. Si tratta di una vera e propria trappola per chi utilizza un fido, perché consiste in una percentuale secca (di solito 0,5-0,625 per cento) che si preleva sulla cifra massima di fido che si è utilizzata anche solo per pochi giorni. Supponiamo che un’azienda utilizzi un fido di 100 mila euro che prevede il 6 per cento di interesse trimestrale e lo 0,5 per cento di commissione di massimo scoperto. Se questa azienda si espone mediamente per 50 mila euro nel corso del trimestre, ma per una settimana di quello stesso trimestre risulta essersi esposta per 80 mila, dovrà pagare alla banca 750 euro di interessi per la sua esposizione media trimestrale, più altri 400 perché per una settimana ha toccato gli 80 mila. Le commissioni sono un vero flagello per le imprese come per i semplici correntisti. Secondo un’indagine dell’Università Bocconi, andare in rosso per 24 ore può portare a una commissione fino al 10 per cento dello scoperto: sconfinando di 1.000 euro per un giorno si può arrivare a pagare ben 100 euro.

Quando il giochetto salta
Ora però quella che è stata per tanto tempo una delle voci più lucrose del bilancio delle banche italiane si sta trasformando in un boomerang: sono proprio le grosse cifre delle commissioni che fanno sballare i conteggi dei Taeg e sforare il tasso soglia, esponendo gli istituti di credito alla pesantissima accusa di usura oggettiva. Che comporta la restituzione al debitore non solo di quanto egli ha versato in eccesso di tale tasso, ma anche gli stessi interessi dovuti. È così che si spiegano le cifre altissime, pari a poco meno del totale degli interessi e delle commissioni pagati per anni alla banca, come quelle citate all’inizio dal signor Paolo della provincia di Brescia: una volta accertata l’usura oggettiva, alla banca può essere chiesta la restituzione di quasi tutto quello che si è versato, e non solo della parte corrispondente allo sforamento. Alla trasmissione televisiva È la somma che fa il totale su La9 del 5 dicembre scorso è stato presentato il caso di Angelo da Padova, un imprenditore che fra il 1994 e il 2002 ha pagato alla sua banca 25.437,73 euro di spese e interessi. Secondo una perizia, ben 21.585,28 di essi non erano dovuti per intervenuta usura. E a tirar su l’indennizzo è la voce relativa all’usura oggettiva: da sola implicherebbe la restituzione di oltre 18 mila euro. Analoga la situazione di un professionista di Castello di Godego (Treviso): dei 18.362 euro di spese per interessi passivi e commissioni addebitate nel corso di alcuni anni al suo conto corrente, 14.196 risultano non dovuti secondo la perizia dei commercialisti specializzati da lui contattati; oltre 12 mila riguardano la sola usura oggettiva.

Gli eventuali reati e illeciti per anatocismo e usura cadono in prescrizione dopo dieci anni dal fatto, ma chi ha effettuato perizie su serie storiche di conti correnti bancari di privati e imprese afferma che si possono documentare irregolarità fin dagli anni Ottanta. Che fino all’altroieri il cliente italiano riponesse una fiducia eccessiva nel sistema bancario lo dimostrano tanti episodi di cronaca che vanno dall’incosciente serenità con cui i risparmiatori hanno sottoscritto i bond argentini, quelli della Cirio e di Parmalat, al dato statistico secondo cui nel 2005 solo l’1,5 per cento dei clienti della Banca Popolare di Lodi si accorse che Gianpiero Fiorani stava addebitando ai loro conti correnti spese inesistenti, con cui avrebbe finanziato i suoi tentativi di scalate bancarie. Del resto a cadere in trappola non sono solo privati e imprenditori. La condanna in primo grado per truffa aggravata di Deutsche Bank, Depfa, Ubs e Jp Morgan nel dicembre scorso per la maxi-operazione in derivati da 1,68 miliardi di euro sottoscritta nel 2005 dal Comune di Milano, dimostra che neanche gli enti pubblici sono esenti dal rischio di soffrire comportamenti illeciti da parte di banche. E quella di Milano non è certo l’unica amministrazione comunale vittima dei derivati speculativi e dei loro costi occulti: comuni e aziende municipalizzate in causa con istituti di credito che hanno fatto loro acquistare derivati sono numerosi.

Naturalmente non succede mai che le banche sgancino sull’unghia le cifre contestate. Ma nemmeno succede tanto spesso che ci si impantani in interminabili liti giudiziarie. In molti casi si va alla mediazione o si negozia un accordo. I tassi di recupero delle spese contestate pare oscillino fra il 45 e l’85 per cento. E fino ad oggi soltanto lo 0,7 per cento dei conti correnti bancari degli italiani sono stati passati al setaccio. La grande armata dei debitori spremuti si prepara al contrattacco.

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