Matteo Renzi testimonia nell’ambito del processo per la morte di Giulio Regeni
La versione di Matteo Renzi al processo di Giulio Regeni appare in contrasto con le testimonianze dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

La versione di Matteo Renzi al processo di Giulio Regeni appare in contrasto con le testimonianze dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

“Vengo informato il 31 gennaio dalla Farnesina e mi dissero che qualcosa era accaduto qualcosa di grave a un nostro ricercatore. Se mi fosse stato chiaro da subito avremmo potuto attuare qualcosa in più ma il comportamento della Farnesina è stato legittimo. Noi mettiamo in campo tutti i nostri strumenti perché c’era crescente preoccupazione da parte degli apparati che, come è fisiologico, erano già a conoscenza della vicenda. Se dal 26 al 31 gennaio 2016 la Farnesina ha ritenuto di tenere bassa una vicenda così complessa avrà fatto una sua valutazione, conosceva i rapporti con Al Sisi. Poi il 31, quando lo sento, era molto pessimista”. È la dichiarazione, come testimone, del senatore di Italia Viva ed ex premier Matteo Renzi nell’ambito del processo per la morte di Giulio Regeni. Le domande all’ex premier sono state formulate dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi.

Il giallo sulle date – Una versione già data da Renzi che nel 2020 apparve in contrasto con le testimonianze dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dell’allora Segretario Generale della Farnesina, Elisabetta Belloni. Ed è per questo che Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni, prima dell’udienza del processo a carico di quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Regeni ha detto prima dell’udienza: “È una udienza importante: Renzi e Minniti ci racconteranno quando e come hanno saputo, cosa hanno fatto allora e dopo per avere verità e giustizia per Giulio. Sarebbe bello avere chiarezza da Renzi sulle date anche se è stato detto che se avesse saputo dal 31 gennaio del 2016 avrebbe potuto salvarlo”.

Gentiloni alla commissione aveva dichiarato che l’ambasciatore in Egitto fu informato il 25 gennaio e il diplomatico si attivò il giorno dopo. Tra il 26 gennaio e il 2 febbraio “numerosi passi” furono fatti, la struttura della Farnesina informò Gentiloni il 26 gennaio. Belloni nella sua audizione ricorda che Massari informò immediatamente il referente dell’intelligence. La denuncia da parte dell’ambasciata viene formalizzata tra il 26 e il 27 gennaio. Sono giornate e nottate in cui tutti i possibili referenti istituzionali e di intelligence vengono sollecitati dall’ambasciatore per avere notizie: tutti negano. Gentiloni il 31 gennaio interloquisce con il suo omologo egiziano e parte la nota ufficiale sulla sparizione del ricercatore. Durante l’audizione il presidente della Commissione Erasmo Palazzotto aveva chiesto all’ex presidente del Consiglio Renzi come mai lui ebbe notizia della scomparsa di Giulio Regeni solo il 31 gennaio, se a quella data, la Farnesina si era già attivata da 5 giorni. “Io dico la verità ne venni a sapere solo il 31 gennaio”.

“Se ci fosse stata allerta rossa nulla avrebbe impedito all’ambasciatore di chiamarmi, aveva il mio numero di cellulare – afferma l’ex premier Matteo Renzi – Io – aggiunge – con l’ambasciatore parlo il 31, non prima e lo chiamo io, e lui mi dice che è una vicenda drammatica e temeva epilogo drammatico. In questa vicenda l’Italia è voluta andare fino in fondo e non ha fatto come gli inglesi che, a mio avviso, non hanno detto tutta la verità e mi riferisco all’università inglese che avrebbe dovuto collaborare di più. Io chiesi all’allora primo ministro Teresa May massima collaborazione. L’Italia non poteva fare di più, non abbiamo messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano ed è chiaro che la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano egiziana”.

“Quando accade questo delitto efferato noi reagimmo arrivando al richiamo dell’ambasciatore. Io dopo la tragica vicenda di Giulio incontrai Al Sisi al G20 in Cina il 6 settembre del 2016. Lo incontrai per esprimere delusione. In quell’occasione Al Sisi mi chiese di rimandare l’ambasciatore italiano in Egitto ed io gli risposi di no e gli dissi subito che non avremmo mai accettato verità di comodo. A marzo del 2016 l’Egitto ci diede una verità di comodo che noi respingemmo” ha poi detto Renzi.

Minniti – Dopo Renzi è stato il momento della testimonianza Marco Minniti, all’epoca dei fatti sottosegretario alla Presidenza del Consigli e all’autorità delegata per la sicurezza: “Ho avuto la sensazione che la banda di finti rapinatori fatti ritrovare uccisi fu un modo per darci una finta verità, un metodo già usato con altri stranieri uccisi in Egitto che aveva funzionato. Un francese fu massacrato di botte in commissariato e la magistratura francese accettò la versione fornita dal Cairo. Noi invece mettemmo in chiaro che non avremmo accettato azioni di depistaggio” ha affermato.

Per il teste il depistaggio, messo in atto dopo il suo primo incontro con Al Sisi l’8 marzo del 2016, “fu un modo per coprire i Servizi egiziani e vista la mancanza di collaborazione decidemmo di richiamare l’ambasciatore. Siamo un grande Paese e un grande Paese non dimentica i propri cittadini che muoiono all’estero. Fui avvisato dopo alcuni giorni perché in Egitto sono frequenti i ‘fermi non ufficiai’ì di cittadini stranieri. Il mio convincimento è che sono stati gli apparati egiziani ad uccidere Giulio e gli imputati sono i responsabili”.

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