Mediobanca, scendono le Fondazioni

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Il riposizionamento delle Fondazioni, l’uscita degli storici commercialisti Severgnini, ma anche il ritorno della famiglia Strazzera e l’inattesa permanenza del pacchetto della Carlo Tassara di Romain Zaleski, data ormai per assente nel libro soci. E ancora: le presenze del fondo sovrano della Norvegia con l’1% o, con piccole quote, della Banca Centrale della Repubblica di San Marino, degli australiani di Macquaire e del fondo pensione di Abu Dhabi. C’è un po’ di tutto tra gli azionisti registrati nel corso dell’ultima assemblea di Mediobanca tra le righe del verbale. Perché se i grandi soci, da UniCredit ai francesi guidati da Vincent Bolloré, passando per gli industriali del gruppo B del patto di sindacato, restano fermi come da accordi, la folta schiera di presenze sotto il 2% di capitale è in continuo movimento. Con il risultato finale che se gli equilibri complessivi non cambiano, i pesi singoli sì. Partendo da quello delle Fondazioni socie di piazzetta Cuccia, ma fuori dagli accordi parasociali.

Il peso delle Fondazioni

Proprio qui, nel blocco degli enti, emergono movimenti importanti, almeno sul fronte delle presenze. La Fondazione Cariverona, che compariva nel libro soci con una quota del 3,14%, ha venduto un terzo del pacchetto scendendo al 2,1% del capitale. Le ha fatto parzialmente da contraltare la Fondazione Carisbo che è salita al 2,9% dal 2,6%. Insieme a loro compare la fondazione Caritorino con lo 0,59%, mentre la Cassa di risparmio di Padova e Rovigo compare con un pacchetto di quasi 500 mila titoli. In tutto dunque il peso complessivo degli enti è del 5,5%, con la Carisbo in posizione di spicco. Solo un anno fa, quando compariva la Fondazione Mps, il peso complessivo delle Fondazioni nel capitale di Mediobanca era dell’8,4%. Oltre a Siena, che deteneva quasi l’1,9%, anche altre, più piccole, non si sono presentate e probabilmente sono uscite dal capitale di Mediobanca: la Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, di Imola, e quella di Perugia. Il risultato finale, dunque, è che, almeno «da verbale», il peso degli enti si è notevolmente ridotto, anche senza considerare Siena.

Tra gli azionisti fuori dal patto figura poi la Dorint di Diego della Valle con 4 milioni di titoli equivalenti a circa lo 0,4% del capitale, più o meno quanto la quota detenuta dai Lucchini, soci storici del patto Mediobanca. E’ pari al doppio delle azioni, invece, la quota ancora in mano alla Carlo Tassara di Romain Zaleski, che era data ormai fuori dal libro soci di piazzetta Cuccia. In questo caso la partecipazione della società, alle prese ormai da tempo con un piano di dismissioni “forzato”, è di poco superiore all’1%.

Sempre «libera» da vicoli parasociali è la partecipazione dello 0,4% del capitale nelle mani di Modena Capitale, holding partecipata da diversi gruppi industriali e controllata dall’avvocato Gianpiero Samorì al 58,8% tramite Condor, già protagonista di numerose battaglie sulla Banca Popolare dell’Emilia Romagna.

Gli storici commercialisti

Tra le curiosità che emergono dal verbale figura poi il ridimensionamento degli storici commercialisti di piazzetta Cuccia. Si tratta della Finsev, cassaforte della famiglia di commercialisti milanesi, i Severgnini. Ex soci del patto di sindacato di piazzetta Cuccia, i Severgnini sono stati per anni consulenti di Enrico Cuccia prima e Vincenzo Maranghi dopo, oltre a vantare rapporti eccellenti con dinastie come quelle di De Agostini, Ratti e Fossati. Nel capitale di Mediobanca oggi la loro quota è di una manciata di titoli (395 mila), lo scorso anno non si sono presentati, ma un anno prima la quota era di 4 milioni. Compaiono poi, sempre in tema di commercialisti, anche gli Strazzera che attraverso la loro Serfis detengono una quota pari a 2 milioni di titoli. In proposito c’è da dire che la presenza degli Strazzera è sempre stata variabile nel corso degli anni con quote che a volte hanno raggiunto anche l’1% del capitale di Mediobanca. Tra le curiosità emerge il rafforzamento della Cassa Forense con la partecipazione in Mediobanca, che lo scorso anno era pari allo 0,75% circa, incrementata fino all’1,2% e la presenza con quasi 800 mila titoli di Isis, Informatica e Servizi Interbancari Sammarinesi, società nata come emanazione del Dipartimento di Information Technology dell’Istituto di Credito Sammarinese, ora Banca Centrale della Repubblica di San Marino, che ne detiene il 49% del pacchetto azionario.

Tra gli investitori esteri, per finire, spicca il fondo sovrano della Norvegia con quasi l’1% e il Master trust bank of Japan, fiduciario del Governo di Tokyo per le pensioni, con 3 milioni di azioni, pari allo 0,4%. Più piccoli, ma presenti all’assise, anche gli australiani di Macquaire, il fondo pensione di Abu Dhabi e il Ministero delle Finanze del Kazakhistan.

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