Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha firmato un decreto ministeriale con cui si introducono nuove regole per il cosiddetto redditometro, un vecchio strumento che usava l’Agenzia delle Entrate per comparare le spese di un contribuente con il suo reddito dichiarato, e utilizzarlo come spunto per individuare eventuali somme evase nel caso i due valori non fossero coerenti. È uno strumento che una parte della destra ha sempre contestato e che in generale non è mai stato particolarmente popolare, perché ritenuto lesivo della privacy dei cittadini e delle cittadine.
Il decreto è stato pubblicato lunedì in Gazzetta Ufficiale ma era atteso da anni, perché il redditometro era stato introdotto per la prima volta nel 2013 e poi sospeso nel 2018 con il “decreto Dignità” del primo governo guidato da Giuseppe Conte, di cui la Lega faceva parte. Venne sospeso perché si attendeva un decreto ministeriale che indicasse criteri più precisi per effettuare i controlli sulle spese, e nel frattempo più volte la Corte dei Conti aveva osservato come l’Agenzia avesse poteri limitati senza questo strumento, che infatti aveva avuto risultati assai limitati.
Con il nuovo decreto il governo ha quindi introdotto nuove regole, facendo tornare operativo il redditometro e creando qualche problema politico ai partiti della maggioranza, presi dalla campagna elettorale per le elezioni europee di giugno: Lega e Forza Italia hanno già fatto capire che il decreto è arrivato un po’ a sorpresa, e di essere contrari.
Il redditometro rientra tra gli strumenti che in gergo si chiamano di “accertamento sintetico”, perché permettono all’Agenzia delle Entrate di presumere il reddito reale di un contribuente a partire da alcuni indicatori a sua disposizione, tra cui appunto le spese che vengono rilevate dalle banche dati a cui può accedere legalmente: per esempio acquisti di immobili e di automobili, pagamento di rette scolastiche, oppure tutte le altre spese dichiarate, cioè presenti nella dichiarazione dei redditi.
È uno strumento ritenuto molto utile dagli esperti per combattere l’evasione fiscale, ma che da sempre si scontra con evidenti limiti imposti dalle norme sulla privacy: ai fini della lotta all’evasione l’ideale sarebbe poter tracciare tutte le spese dei contribuenti, ma nei fatti l’Agenzia si limita a usare le informazioni di cui si ritrova in possesso per legge, come le dichiarazioni dei redditi, o di cui potrebbe venire a conoscenza incidentalmente nel corso di altri controlli laterali.
Il nuovo decreto ministeriale introduce 56 voci specifiche di spesa che l’Agenzia può tracciare, tra cui quelle per l’abbigliamento, i generi alimentari, il costo del mutuo o dell’affitto, le bollette, le spese per i mezzi di trasporto di proprietà (rate della macchina o costo dell’assicurazione), ma anche quelle per l’acquisto di borse e valigie, o il pagamento di alberghi e ristoranti. Saranno tenute sotto controllo anche alcune spese per il tempo libero (videogiochi e abbonamenti alle piattaforme di streaming), e alcune più inusuali come quelle per mantenere un cavallo di proprietà. Ci sono inoltre 9 voci di investimento che l’Agenzia potrà controllare, tra cui l’acquisto di immobili e terreni, di titoli finanziari, e anche quelle legate alle manutenzioni straordinarie degli immobili, che l’Agenzia ha a disposizione se per esempio si è fatto domanda per ricevere i bonus edilizi.
Se nelle banche dati non ci sono tutti questi dati allora si prenderanno a riferimento le spese medie per famiglia stimate dall’ISTAT. Con questi dati, l’Agenzia delle Entrate elaborerà poi il totale delle spese effettuate presumibilmente dal nucleo familiare. Se grazie al redditometro verrà individuato uno scostamento superiore al 20 per cento tra il reddito dichiarato e le spese rilevate l’Agenzia delle Entrate potrebbe procedere con ulteriori accertamenti. Il meccanismo potrà essere applicato ai redditi dichiarati dal 2018 in poi (il decreto dice dal 2016, ma la legge stabilisce che gli avvisi di accertamenti fiscali possono essere notificati solo «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione»).
Anche se il decreto era atteso da tempo, all’interno del governo le nuove regole hanno creato una certa agitazione in vista del voto europeo dell’8 e del 9 giugno prossimi, e già dal pomeriggio di lunedì l’argomento era su tutti i siti di news. Forza Italia ha subito fatto sapere alla stampa di essere «sempre stata contro il redditometro». Anche la Lega ne ha preso le distanze e il suo capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, avrebbe detto di trovare la proposta «un po’ strana» visto che «noi del centrodestra siamo sempre stati critici su questi strumenti». La Lega ha poi detto che «l’inquisizione è finita da tempo» e «controllare la spesa degli italiani, in modalità grande fratello, non è sicuramente il metodo migliore per combattere l’evasione».
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che è anche leader di Fratelli d’Italia di cui il viceministro Leo fa parte, ha risposto mercoledì che «mai nessun “grande fratello fiscale” sarà introdotto da questo governo» e di essere sempre stata contraria al redditometro, prendendo così le distanze dalla misura. Ha aggiunto di aver chiesto un confronto con Leo nel Consiglio dei ministri di venerdì, in modo che «se saranno necessari cambiamenti sarò io la prima a chiederli». Martedì alcuni esponenti di Fratelli d’Italia avevano invece difeso la decisione di Leo, anche se avevano ammesso che non era stata comunicata al meglio.