Quanto è difficile «licenziare» i signori del credito

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Removal, rimozione. Il tema è importante ma anche delicato e spinoso, soprattutto se sottolineato di fronte a una platea di banchieri. «L’autorità di vigilanza deve poter intervenire efficacemente nei casi in cui ritenga necessario opporsi alla nomina di esponenti aziendali o rimuoverli dall’incarico». Pochi giorni dopo il presidente della Bce Mario Draghi, ieri al Forex di Bergamo il governatore Ignazio Visco ha ribadito la necessità per Bankitalia di disporre di tale potere. Anche sotto questo profilo la vicenda del Montepaschi, dove pure la moral suasion di Via Nazionale ha portato al cambio dei vertici aziendali, rappresenta una vera lezione.
I commenti a caldo in platea sono più che altro «attendisti», fra un’adesione cauta e le ipotesi per le soluzioni possibili. L’Abi non è contraria purché la norma «sia uniforme a livello europeo» dice Antonio Patuelli, il neopresidente dell’associazione dei banchieri subentrato a Giuseppe Mussari. Non si sbilancia Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo: «Farebbe parte di una nuova regolamentazione per ora solo auspicata». Secondo Andrea Beltratti, che guida della stessa banca il board di gestione, «dare più potere a chi ha più informazioni può essere una garanzia in più per gli stessi soci». Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit, dice che «dovrà essere una norma chiara da applicare quando il rischio è sistemico e laddove gli azionisti non vogliano o non possano procedere autonomamente». Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi, fa riferimento al fatto che Visco nella stessa relazione ha anche rimarcato la «natura imprenditoriale delle banche»: «Considerare la banca un’impresa privata e non un’istituzione pubblica è stata una conquista: perciò come tale va considerata anche sotto il profilo della vigilanza». Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Montepaschi, concordano nel dire che a Siena il «removal è stato applicato». Grazie a una pressante moral suasion.
Ma evidentemente la moral suasion può non bastare, se Visco sottolinea che «i requisiti di onorabilità e professionalità sono fissati con normative rigide, la decadenza può essere solo dichiarata per difetto di criteri tassativamente elencati», «il quadro normativo va rafforzato, l’autorità di vigilanza deve poter valutare compiutamente l’idoneità degli esponenti» e «intervenire sulla base di fondate evidenze» per dire no alla nomina o metter fine a un incarico. Poteri la cui mancanza è stata messa in rilievo dal Fmi e dal Financial stability board e che sono considerati in linea con quanto previsto dagli standard internazionali: in Francia e Germania, piuttosto che in Gran Bretagna o Stati Uniti è alto il margine discrezionale nella valutazione dei requisiti dei banchieri e la Commissione europea sta valutando iniziative per rafforzare il controllo sulla «qualità» di chi guida e amministra gli istituti di credito.
Certamente il pressing e la moral suasion di Bankitalia hanno portato, non senza fatica, alla «discontinuità» nella gestione del Montepaschi. In Bpm è stata lunga la battaglia per vincere la resistenza degli «Amici», cioè dei sindacati-azionisti, e anche l’uscita del presidente Massimo Ponzellini può essere ricondotta alle complessiva pressione dell’autorità di vigilanza. Così come in passato si è arrivati a ribaltoni dei vertici aziendali in casi come Bipop (prima con Bruno Sonzogni poi con Maurizio Cozzolini) e Italease che, dopo lo scandalo derivati e il danno reputazionale seguito, ha provveduto al totale ricambio chiesto dalla Vigilanza quando ormai la paralisi era totale. Quasi sempre Bankitalia ha dovuto fare pressione, insistere, chiedere e richiedere: l’esercizio della moral suasion è tutt’altro che facile e l’esito può non essere scontato. Almeno nelle «tappe intermedie», come si è visto alla Popolare di Milano con il «no» in assemblea sul tema delle deleghe.
Non che all’estero «cacciare» un banchiere sia sempre facile. Per esempio nella francese Société Générale il presidente Daniel Bouton, dopo lo scandalo Kerviel (il trader che ha provocato un maxi buco), ha gettato la spugna dopo un anno e mezzo di resistenza, peraltro non solitaria. Più semplici almeno in apparenza sono i ricambi nei casi in cui il disastro gestionale porta alla nazionalizzazione. In Gran Bretagna Fred Goodwin è stato messo alla porta in Rbs e Adam Applegarth si è dovuto dimettere da Northern Rock; nel Benelux Axel Miller e Pierre Richard se ne sono andati in poche ore da Dexia sotto cura statale e l’influente Maurice Lippens ha lasciato la presidenza di Fortis in un weekend. In tutti questi casi i top manager hanno pagato il tributo all’intervento dello Stato. Cioè dei cittadini contribuenti.

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