Segnalazione alla Centrale Rischi: anticipata la soglia della pericolosità

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Il 2013 si è aperto con un nuovo ed importante colpo inferto al sistema bancario italiano, il quale, a fronte di una crisi economica che sta strangolando famiglie ed imprese, continua sovente a dimostrarsi indifferente e senza scrupoli, nei confronti dei malcapitati clienti.

Una delle tante manifestazioni di “strapotere” che caratterizzano le banche italiane, infatti, è rappresentata dall’uso strumentale della cosiddetta “segnalazione” alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

La Centrale dei Rischi, com’è noto, è un sistema informativo sull’indebitamento della clientela nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari, vigilati dalla Banca d’Italia. Attraverso tale servizio centralizzato dei rischi, la Banca d’Italia fornisce agli intermediari partecipanti al sistema un’ informativa utile per la valutazione del merito creditizio della clientela e, in generale, per l’analisi e la gestione del rischio di credito. Si tratta, dunque, di uno strumento pensato dal Legislatore in funzione di un interesse pubblico, quello della tutela del risparmio, attraverso una valutazione della solvibilità dei richiedenti il credito.

A fronte di tale interesse pubblico, è evidentemente un’opzione che impone estrema cautela nel suo utilizzo, perché in grado di innescare un “meccanismo a catena”, particolarmente dannoso per il cliente, per una serie di ragioni. In primo luogo, perché determina l’esclusione, dal sistema del credito, di un soggetto, per esempio un’impresa, che fa dell’accesso al credito, una condizione indispensabile per la propria sopravvivenza. In secondo luogo, e a maggior ragione, per il fatto che, l’istruttoria per l’accertamento della posizione o meno di sofferenza del credito, viene effettuata unilateralmente, senza che vi partecipi, in qualche forma di contraddittorio, l’imprenditore interessato.

Le banche, dunque, nel comunicare alla Banca d’Italia le esposizioni debitorie extra-affidamento, così come rilevate dagli e/c bancari, si assumono ogni rischio connesso alla veridicità degli stessi.

Ne consegue, soprattutto, che l’illegittima o errata segnalazione da parte della Banca, costituisce un danno, ingiustamente arrecato al cliente, sotto diversi profili.

Sul punto, esiste una consolidata giurisprudenza. In particolare, è stato stabilito che la responsabilità della Banca segnalante in caso di comunicazione erronea alla Centrale dei Rischi sembra potersi ricondurre, innanzitutto, nell’ambito di una responsabilità da false informazioni, in ordine alla quale è pacificamente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno (ex multis Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626).

Storicamente il Tribunale di Milano, già con l’ordinanza 19 febbraio 2001, ha configurato tale responsabilità sia come extracontrattuale, (da fatto illecito) ex art. 2043 c.c., sia come responsabilità contrattuale, per violazione di norme di comportamento esistenti tra banca ed utente, a partire dagli artt. 1175, 1374, 1375.

Inoltre, la riduzione o persino l’impossibilità di accedere al sistema bancario comporta indubbiamente la riduzione delle possibilità di guadagni futuri, con il rischio di arrivare anche ad una lesione del diritto – costituzionalmente garantito all’art. 41 della Costituzione – di iniziativa economica privata, che, come è noto, si alimenta grazie al credito bancario, l’accesso al quale, a seguito di una ingannevole segnalazione presso la Centrale dei Rischi, è inevitabilmente precluso.

Difatti, occorre in proposito precisare che le banche, con certezza subiscono un condizionamento negativo qualora dall’informativa dovesse emergere l’esistenza di una posizione segnalata “in sofferenza”; in tale atteggiamento si riflette infatti la generale riluttanza (legittima in astratto) degli operatori a concedere credito a soggetti la cui situazione patrimoniale, in certi ambienti economici, sia stata valutata come inaffidabile e precaria.

Non si tratta, però, solo di responsabilità derivante da danno di natura patrimoniale. L’illegittimo blocco della ordinaria situazione generale di credito del ricorrente, e quindi della relativa situazione patrimoniale complessiva, l’impossibilità di ottenere da un giorno all’altro ogni finanziamento o movimentazione del credito indispensabile per l’ordinaria gestione dell’azienda, comporta l’effettivo e scontato “collasso” nella ordinaria gestione della stessa, con irrimediabile danno morale ed economico dovuto alla perdita di immagine, di competitività sul mercato, di ordinaria gestione di cassa, con evidente possibilità di addivenire quindi a posteriori e senza colpa alcuna ma per esclusiva responsabilità della Banca, in quella situazione di insolvibilità che causerebbe inevitabilmente il fallimento dall’azienda e la conseguente perdita di posti di lavoro.

Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno.

La Giurisprudenza sul punto è consolidata:

Da quanto innanzi discende la fondatezza della domanda attorea relativamente al danno da illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi. Invero, il danno da illegittima segnalazione presso Centrale Rischi si profila sia nell’ipotesi di c.d. errore nella segnalazione di categoria (cioè a sofferenza e non ad incaglio, ecc.) che nel c.d. errore di quantificazione della presunta esposizione. Più grave è il primo errore, in quanto comporta la preclusione del credito, mentre il secondo comporta, nell’ipotesi più lieve, una saturazione dei credito, sino all’effettiva impossibilità di ottenere credito. Ovviamente, nella maggior parte delle volte, gli errori convivono. Il danno da informazione inesatta non si esplica soltanto nella mancata concessione di nuove linee di credito ma anche alla lesione della reputazione personale e commerciale, pregiudicata da un’erronea segnalazione che certamente costituisce causa di discredito del soggetto coinvolto, tanto più ove il discredito avvenga all’interno del sistema creditizio il quale fa fronte comune nella (di norma giustificata) difesa dagli insolventi o da chi è ritenuto tale anche da uno solo degli aderenti. Difatti “la segnalazione di una “sofferenza” non più esistente, conferendo pubblicità interbancaria ad un non reale protrarsi dell’insolvenza del debitore, è destinata ad assumere rilevanza peculiare in un’ottica commerciale ed imprenditoriale, risolvendosi in una complessa vicenda di indubitabile discredito patrimoniale, idonea a provocare un danno anche della reputazione imprenditoriale del segnalato. In tal caso è ipotizzabile una responsabilità dell’azienda di credito verso il cliente ingiustamente, e quindi antigiuridicamente, segnalato alla Centrale dei Rischi”(Trib. Bari, sez. I, G.U. dott. Cirillo, sent. del 22 dicembre 2000). Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima, pertanto, il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n, 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998). Tribunale di Bari, Sez. Dist. di Rutigliano, Dott. Nicola ACHILLE, Sent. n. 165 del 26 marzo 2012 (cfr. anche Tribunale di Novara, Dott. Simona GAMBACORTA, sent. n. 515 parz. del 18 maggio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010, tutte edite in www.studiotanza.it)

La segnalazione alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia, a cui tutto il sistema bancario è tenuto per legge, risulta quasi sempre del tutto illegittima poiché il saldo effettivo è differente da quello denunciato dalla Banca: il danno è pari a quello dell’illegittimo protesto e per la quantificazione dello stesso spesso l’utente non può che rimettersi alla Giustizia. La prova del danno da errata segnalazione a centrale dei rischi è, infatti, difficile da provare: le banche non rilasciano alcuna attestazione di diniego dell’affidamento.

Tuttavia è altrettanto pacifico che una segnalazione negativa in Centrale determini la chiusura del credito: l’imprenditore che riesce a documentare i danni è rarissimo. Ecco perché la Magistratura più obiettiva ricorre, oramai, ad una liquidazione equitativa del danno da erronea segnalazione alla Centrale dei rischi.

La Giurisprudenza di legittimità ha, sul punto, sottolineato più volte “l’inevitabile perturbazione dei rapporti economici, e una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato” (…). Pertanto è corretto anche il ricorso alla liquidazione del danno con criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., ammissibile secondo la giurisprudenza di legittimità qualora l’attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l’esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la. precisa durata del pregiudizio economico, subito” (Cass. 19883/2005; 8271/2004; 188/1996).

Se, dunque, quanto sopra detto riposa su una consolidata Giurisprudenza, soltanto in parte indicata in questa sede, lo stesso non può dirsi per quella che può considerarsi l’ultima “frontiera” della lotta allo strapotere delle banche, che in questa sede è fondamentale evidenziare per la sua portata straordinariamente innovativa.

Il crescente sviluppo della sensibilità della Giurisprudenza sull’importanza della segnalazione alla CR ha comportato, anche con riferimento alla regolamentazione MIFID, la consapevolezza che la comunicazione di un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due) crea un evidente danno al cliente.

Nasce, così, l’esigenza di evitare all’origine danni all’impresa; danni certi ma, come si è visto, difficilmente dimostrabili, che inevitabilmente conducono verso il disdoro commerciale con conseguente innalzamento del costo del denaro, sia presso l’istituto segnalante che verso l’intero sistema creditizio. Questa iniziale patologia comporta attraverso la riduzione del credito e l’aumento delle competenze e del costo del denaro una, spesso irreversibile crisi aziendale, cge porta alla c.d. sofferenza.

Insomma, la Giurisprudenza ha capito che “la medicina” è efficace se somministrata all’inizio della patologia: una cura tardiva, spesso, è inutile: infatti, un cliente segnalato “a sofferenza” è un cliente praticamente privo di credito e vita aziendale.

Il Tribunale di Lecce – Sez. distaccata di Galatina, con decreto, inaudita altera parte, emesso in data 20 dicembre 2012 dal Dott. Alessandro Maggiore, ha accolto il ricorso proposto ex Art. 700 cpc, dalla società M. Srl, in relazione ad una segnalazione alla Centrale Rischi compiuta dalla Banca Monte dei Paschi S.p.A. con riferimento ad un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due); decreto confermato il successivo 8 gennaio 2013.

Dalle risultanze processuali è emerso che tale segnalazione sia stata assolutamente illegittima in quanto basata su un saldo dì e/c bancario erroneamente (e dopo lo svolgimento della CTU dolosamente) quantificato, creando un gravissimo pregiudizio, a breve irreparabile, a M. Srl, derivante sia dal vertiginoso aumentare delle competenze delle altre banche con cui intrattiene rapporti la ricorrente (dovute all’abbassamento del rating aziendale conseguente a simile segnalazione), che dalle sempre più pressanti minacce dì revoca degli affidamenti.

Il ricorso ex art. 700 c.p.c., com’è noto, si qualifica come una misura cautelare con funzione anticipatoria degli effetti della decisione di merito. Tale ricorso è subordinato alla sussistenza di una serie di presupposti, tra i quali la dimostrazione da parte del ricorrente del periculum in mora (Trib. Catania, ord. 5 gennaio 2004), del fumus boni iuris (Trib. Milano, ord. 9 febbraio 2005), della irreparabilità, gravità ed imminenza del danno (Trib. Napoli, ord. 24 aprile 2000).

Nel caso di specie, il fumus boni iuris risultava acclarato da una pacifica e consolidata Giurisprudenza sul punto, mentre l’esistenza, tanto del periculum in mora quanto dell’irreperabilità, gravità ed imminenza del danno, apparivano evidenti, tanto che i ricorrenti parlavano correttamente di una società seduta “su una bomba ad orologeria”.

Infatti entro il 25 di dicembre la Banca Monte dei Paschi di Siena avrebbe comunicato il falso saldo relativo al 30 novembre, mentre il 25 gennaio avrebbe comunicato il saldo relativo al 31 dicembre 2012: in questo minimo lasso di tempo vi era il gravissimo pericolo, rappresentato dal persistente sconfinamento, in grado di determinare un mutamento in peius dello status della ricorrente, con la conseguente perdita di ogni credito bancario.

Anche in questo caso, dunque, gli elementi presenti integravano una responsabilità, come evidenziato sopra, non solo da danno patrimoniale, ma anche da danno in re ipsa, conseguente ad una potenziale e pericolosissima esclusione dell’impresa dalla possibilità di accesso al credito bancario.

Sulla scorta, dunque, delle osservazioni dei ricorrenti, il GOT Maggiore, rilevando la presenza dei requisiti sopra citati, di cui all’art. 700 cpc, ha emesso un decreto particolarmente importante, confermandolo successivamente con ordinanza datata 08/01/2013, con la quale ha, inoltre, respinto tutte le istanze sollevate dalla controparte con la propria memoria.

La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., è stata condannata all’”immediata rettifica della segnalazione effettuata e delle successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia”.

Gli elementi di positività di tale pronuncia sono, dunque, ravvisabili innanzitutto, nella conferma di un orientamento giurisprudenziale oramai dominante, che configura il danno derivante da illegittima o erronea segnalazione alla Centrale Rischi, come danno dotato di una “autonoma dignità” rispetto a quello più prettamente di natura patrimoniale.

E, aspetto probabilmente ancora più rilevante, nella possibilità di ottenere una sua, autonoma, individuazione, in una fase, quella cautelare, significativamente antecedente a quella della pronuncia di merito. L’opzione offerta dall’art 700 cpc., nella “veste giuridica” sopra esposta, consente dunque di tutelare un utente rispetto ad un’ipotesi, quella dell’ illegittima esclusione dall’accesso al credito motivata sulla base di presunte esposizioni debitorie extra-affidamento, in grado di produrre, nelle more dell’iter processuale, conseguenze fortemente pregiudizievoli e, verosimilmente, irreparabili.

Si tratta, in definitiva, di un provvedimento che conferma una linea evolutiva del diritto bancario (che cerca sempre di più di staccarsi dal “diritto delle banche”) sempre più attento alle posizioni soggettive di clienti, risparmiatori e imprese, attraverso un uso consapevole ed efficace, da parte di una certa avvocatura, degli strumenti giuridici e processuali offerti dall’ordinamento, e in virtù di una Magistratura che dimostra sempre maggiore sensibilità rispetto alle dinamiche negoziali tra utente e banca, caratterizzate, com’è noto, da una tradizionale disparità di potere contrattuale tra le parti contraenti.

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