Tanto rumore per nulla Cucchiani: «Intesa-UniCredit? Tanto rumore per nulla»

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«Tanto rumore per nulla». Enrico Cucchiani prende a prestito il titolo della celebre commedia di William Shakespeare per dire la sua sulle voci rimbalzate negli ultimi giorni di una possibile integrazione tra Intesa e UniCredit. «Di solito non commentiamo mai nulla ma questa volta vale la pena di fare un’eccezione», diceva ieri pomeriggio il consigliere delegato di Ca’ de Sass. E da Piazza Cordusio, Federico Ghizzoni non è da meno: «Per favore, parliamo di cose serie e di cose vere», risponde piccato, facendo intendere che le questioni sul tavolo sono altre, a partire dalla riorganizzazione della banca in Italia e dal piano di azioni a sostegno del Paese pensato da UniCredit che domani – si veda l’altro articolo in pagina – proprio Ghizzoni illustrerà a 250 dirigenti radunati a Milano insieme al country chairman, Gabriele Piccini.
Un’ipotesi puramente teorica, dunque. Anzi, una fantasia, se è vero che Intesa e UniCredit si rincorrono a smentire non solo che esista un progetto di avvicinamento tra le prime due banche italiane, ma addirittura qualunque forma di confronto preliminare per valutarne termini e fattibilità. A gettare ulteriore acqua sul fuoco, ieri, è stato anche il vice presidente di Piazza Cordusio, che in base ad alcune ricostruzioni pubblicate in giornata potrebbe essere uno degli ispiratori della manovra di avvicinamento tra i due istituti, complici le sue buone relazioni su entrambe le sponde: «È totalmente irrealizzabile, fuori da ogni senso reale, industriale e finanziario», ha fatto dire ieri al suo portavoce, scegliendo con attenzione le parole che più di tutte possono dare il senso di quanto sia lontano dal vero questa ipotesi.
Ma allora, perché tanto clamore? La fluidità dell’ecosistema politico italiano, con le elezioni alle porte, e di quello finanziario, dove – in particolare tra banche e Fondazioni – si avvicina una delicata fase di rinnovi, inevitabilmente hanno stimolato la curiosità di osservatori e addetti ai lavori, considerando più vicini e realizzabili quei riassetti che, stando alle dichiarazioni degli interessati, per ora sono soltanto «fantasie». In realtà, a ben guardare non ci vuole poi tanta fantasi a immaginare un matrimonio, pur a valle dei necessari spin-off, tra le due uniche banche italiane di dimensioni importanti, è vero, ma attualmente così deprezzate in Borsa da valere, insieme, meno di gruppi come Santander o Bnp Paribas, che proprio per questo in un futuro non troppo lontano – attenuatosi ulteriormente il rischio paese – potrebbero trasformarsi da competitor in minacciosi scalatori.
In ambienti bancari si ricorda che di un’eventuale aggregazione tra i due campioni si era ragionato proprio un anno fa di questi di tempi, ma solo come extrema ratio in una fase in cui sembrava che tutto potesse cadere da un momento all’altro, e oggi tra gli analisti la fusione viene considerata «uno scenario molto improbabile a causa delle enormi complicazioni che l’operazione comporterebbe», come recita un report diffuso venerdì da Equita Sim.
Un dato, però, è certo: la salute dei campioni italiani del credito è un tema reale, se è vero che tra Intesa e UniCredit si apre la porta d’ingresso per il sistema finanziario italiano, vista la catena di controllo che conduce rapidamente a Mediobanca, Generali e di lì agli altri luoghi della finanza che conta: scardinare quella porta vorrebbe dire avere libero accesso ai gioielli d’Italia. Ma, forse proprio per questo, ha ragione il banchiere che ieri auspicava «che si cambi rapidamente discorso. O altrimenti con tutti questi ragionamenti si finirà per fare più danni che altro».

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