Tassi bassi e volatilità, si ritorna al Mattone

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Posti di fronte al caso degli interessi a zero (o quasi) per più anni, gli intervistati ad un sondaggio lanciato da Intesa San Paolo hanno risposto con intenzioni di comportamento polarizzate, in quanto concentrate essenzialmente su due scelte: la scelta della liquidità (che riguarderebbe il 32% degli investitori) e la scelta dell’investimento immobiliare (il 29% considererebbe l’acquisto di una casa per sé e il 20% l’acquisto di una casa da dare in affitto).

I piccoli investitori si rivolgono alle case anche perché questo è il mercato dei beni di investimento che essi direttamente conoscono meglio, e al quale probabilmente sono più interessati. L’informazione è pur sempre un elemento che mitiga il rischio degli investimenti, visto che rende più consapevoli le scelte in proposito. Ben il 46% degli intervistati dichiara di conoscere il mercato delle case e di informarsi regolarmente sui suoi prezzi. Dietro al mercato immobiliare si collocano, distanziati, il mercato obbligazionario (che è seguito dal 33% del campione), poi la Borsa (24%) e il mercato dell’oro (19%).

Tornando alla propensione all’acquisto di immobili, chi vi si vorrebbe avvicinare (e non ha ancora deciso) ha un profilo chiaro. In generale, ha da parte investimenti liquidi o liquidabili pari a più di un anno del suo reddito (48%). Ha realizzato, inoltre, che il mercato dei beni d’uso quotidiano è deflattivo, concorrendo a schiacciare i rendimenti di lungo termine del risparmio investito in forme finanziarie.

Ciò però non è compatibile con l’aspirazione a ottenere dai propri investimenti, in media, un profitto medio annuo del 2,6% nei prossimi cinque anni. Ecco dunque che tra le motivazioni per cui ‘acquistare un immobile potrebbe essere vantaggioso’ primeggiano considerazioni economiche, ossia la convinzione di investire in un ‘bene di riferimento’, che conserva il suo valore nel tempo (25%), seguito dalla possibilità di ‘approfittare del momento di prezzi bassi’ (17%) e dal fatto che il reddito dell’immobile, ossia l’affitto incassato o risparmiato, è superiore a quanto può offrire la banca o un’obbligazione (13%). Il 19%, inoltre, pensa che i prezzi delle case aumenteranno nei prossimi anni e il 14% mira, così facendo, ad approfittare di buone e singolari condizioni sui mutui.

Gli acquirenti potenziali di una nuova casa sono tra l’11 e il 19% del campione.

Le variabili economiche non esauriscono le ragioni per investire in un immobile. Chi ne sta considerando l’acquisto ha spesso l’ambizione di una casa migliore (43%) o il bisogno effettivo di un’abitazione più grande (29%).

Gli acquirenti potenziali nei prossimi tre anni (che sono compresi tra l’11 e il 19% del campione) userebbero prevalentemente la nuova casa per sé, considerandola come un bene da godere e magari da tramandare ai figli. Una quota fino all’8% del campione potrebbe cambiare casa e prenderla in affitto, anche se i giudizi positivi sugli affitti sono un terzo del totale, dunque inferiori ai giudizi negativi.

Per il momento gioca da freno la debolezza convalescente del mercato secondario, ossia il timore o di non riuscire a liquidare l’attuale propria casa o di ricavarne un prezzo insufficiente per fare il salto di qualità. In altri termini, mano a mano che il mercato immobiliare sarà più liquido e si accorceranno i tempi di vendita delle case usate, la domanda potenziale di nuove case si trasformerà in domanda effettiva. Una seconda casa in vista per il 9% del sovra campionamento.

La ripresa in corso del mercato delle abitazioni è reale, ma si sviluppa a ritmo ridotto. Anche per le seconde case il clima starebbe cambiando. Le intenzioni di acquisto nei prossimi tre anni riguardano il 9% degli investitori, consapevoli che la seconda casa non è però quasi mai un buon investimento. Prova ne sia che il 74% di essi ha un’opinione positiva del possesso della seconda casa, ma solo il 22%, ossia meno di uno su tre, la considera vantaggiosa in termini economici.

Investire in case da dare in affitto conviene, ma non troppo. Le case, che la deflazione fa tornare al centro dell’ambizione di una quota significativa di piccoli investitori, sono non solo quelle da abitare, ma anche quelle da dare in affitto.

La quota di investitori propensi a comprare una casa da locare (20%) è inferiore a quella degli investitori propensi a comprare una casa da abitare (29%), ma rappresenta pur sempre un quinto del campione, ossia una quota maggiore di quella degli attuali possessori di obbligazioni. Gli ostacoli alla messa in pratica di quest’ultima idea non mancano, e riguardano quasi sempre la selezione degli inquilini, che è ovviamente un’incognita. Secondariamente, vi è la questione fiscale. Le case da locare sono per definizione «seconde case» e ne seguono in larga parte i destini fiscali, dall’imposta di registro piena, all’IMU, alla non deducibilità delle spese di ristrutturazione.

I secondi, invece, manifesterebbero la propria preferenza per un potenziale acquisto immobiliare, mossi però non solo da variabili economiche, ma anche da bisogni rimasti irrisolti o semplicemente dall’ambizione, sempre viva negli italiani, di una casa migliore di quella che si possiede. A differenziare i due gruppi di investitori, ai poli opposti delle possibili scelte (totale liquidità e totale illiquidità), sono prevalentemente l’aspetto del reddito e il possesso di risparmi accantonati superiori a un anno intero di redditi netti. Questi ultimi sono fattori che aumentano la propensione all’investimento reale.

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