Carige, aumento più vicino, non c’è tempo per vendere le polizze

Il tempo stringe. La Asset Quality Review avviata dalla Banca centrale europea per arrivare all’Unione Bancaria tra meno di undici mesi non permette deroghe. Il tempo degli escamotage e dei rinvii è alle spalle. Lo sa bene Piero Luigi Montani, che a fine 2013 si è catapultato dalla Banca Popolare di Milano alla Carige nella «sua» Genova, per tentare un salvataggio che ai più appare compromesso nelle linee inizialmente definite. La vendita delle due compagnie di assicurazione del gruppo, attive nei settori Vita e Danni, procede a rilento. Dopo quasi un anno dalla messa in vendita ufficiale del polo, nulla è cambiato. Il difficile momento economico, la scarsa visibilità su alcune poste di bilancio e la improvvisa varietà d’offerta sul mercato (dal Fata alle ex compagnie del gruppo Fonsai dei Ligresti, ora confluito in Unipol) hanno tolto il polo assicurativo ligure dal cono di luce. Così, oggi alla banca continuano a mancare almeno 700 milioni di capitale, secondo le indicazioni della Banca d’Italia. Ed è sempre più probabile che, malgrado le pressioni della Fondazione Carige — in profonda difficoltà di cassa, ma comunque intenzionata a recitare un ruolo primario anche nel futuro dell’istituto di credito — si arrivi all’avvio del progetto di aumento di capitale, che appare inevitabile ogni giorno di più. Non mancano i vincoli: il cda ha ricevuto delega dall’ultima assemblea ad operare l’aumento di capitale fino a un massimo di 800 milioni. La delega scadrà il 31 marzo prossimo. Ma è una delega «condizionata» alle dismissioni. E l’aumento di capitale dovrà essere residuale. Può essere considerato «residuale » un aumento di 700 milioni su 800? Si annuncia battaglia legale.

Nel corso di questa settimana si dovrebbe intanto concludere l’ispezione dell’Ivass sulle due compagnie,
dopo di che il loro profilo sarà più comprensibile ai potenziali acquirenti. Ma il tempo stringe e Carige è a un
bivio. La mano pubblica della città sull’istituto di credito sembra destinata ad allentare la stretta. Comune,
Provincia e Regione, oltre a molti altri enti le cui istanze sono rappresentate dalla Fondazione, non hanno le
risorse necessarie per completare un processo di risanamento dei conti e di rafforzamento patrimoniale dal
quale la Carige non può esimersi. Ma chi metterà mano al portafoglio? Tra gli interessati potrebbe esserci
Vittorio Malacalza. Ma al dossier Carige sta guardando anche Andrea Bonomi, che per il momento sta alla finestra, ma che ha lavorato per due anni al fianco di Montani alla Bpm e il loro è un assetto rodato. Se la
InvestIndustrial di Bonomi vedesse nel gruppo genovese possibilità di creazione di valore (oggi il titolo
galleggia attorno ai 40 centesimi) un’operazione potrebbe anche realizzarsi, considerando che non esistono
in Carige quei vincoli statutari che alla fine hanno fiaccato l’opera di Bonomi in Bpm.
L’interesse potenziale degli investitori privati non manca, ma occorre fare presto e arrivare a patti con la
Fondazione. Gli ispettori della Bce sono alle porte. La chiusura del bilancio pure. Il tempo delle decisioni è arrivato. A fine marzo Montani presenterà i conti e il nuovo piano industriale. In una quarantina di giorni si conoscerà il destino di Carige.

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