L’Italia fallisce nel tentativo di raggiungere un accordo fiscale con Meta e le altre Big Tec
Meta, X e LinkedIn, sono state oggetto di accertamenti da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate per l’IVA non pagata.

Meta, X e LinkedIn, sono state oggetto di accertamenti da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate per l’IVA non pagata.

Gli sviluppi di ciò che potrebbe evolvere in un vero e proprio processo dalla durata pluriennale, hanno il potenziale di definire la politica europea sul tema.

Fisco ai ferri corti con Meta, X e LinkedIn

Questa la dichiarazione tradotta di Meta in merito:

Abbiamo pienamente cooperato con le autorità in merito ai nostri obblighi, ai sensi del diritto comunitario e locale. Siamo fermamente in disaccordo con l’idea che la fornitura di accesso alle piattaforme online agli utenti debba essere soggetta a IVA.

Il mancato accordo sarebbe da imputare a un aspetto in particolare. L’Italia vorrebbe considerare ogni registrazione gratuita ai social network come una transazione a cui applicare l’imposta, in quanto la merce di scambio, quella su cui Meta, X e LinkedIn generano profitto, sarebbe rappresentata dai dati degli utenti stessi. Una questione più che mai attuale, ora che è tornata in auge la discussione a proposito degli abbonamenti premium di Facebook e Instagram.

Trattandosi di tre grandi società statunitensi, il secco no rivolto all’autorità italiana potrebbe accendere nuove tensioni tra il nostro paese e gli Stati Uniti. Ricordiamo che l’Europa e gli USA sono da mesi alle prese con le trattative non semplici riguardanti dazi e tassazione.

L’Italia chiede oltre un miliardo di euro

L’Italia, che ora si rivolge alla Commissione europea per un parere consultivo, chiede in totale circa un miliardo di euro alle Big Tech. Scendendo nel dettaglio, 887,6 milioni di euro a Meta, 12,5 milioni di euro a X e 140 milioni di euro a LinkedIn. Ricordiamo che quest’ultima piattaforma è controllata da Microsoft. Tutte e tre hanno presentato ricorso nei giorni scorsi, al termine del periodo utile per farlo.

Come anticipato, l’evoluzione del caso potrebbe costituire un precedente e definire le modalità attraverso le quali il nostro paese e il resto d’Europa imporrà alle aziende americane il versamento delle tasse per le attività svolte nei rispettivi territori, anche quando si tratta di servizi offerti gratuitamente.

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