23 suicidi nell’Arma dei carabinieri dall’inizio dell’anno: il sindacato chiede un nuovo tavolo di lavoro sul tema
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In questo clima di assordante silenzio, da qualcuno forse ritenuto strategico, riportiamo quelle che furono le parole dell’allora Capitano dei Carabinieri Domenico Caradonna, suicidatosi ieri con la pistola d’ordinanza, quando lasciò il vertice della Compagnia Carabinieri di Sulmona: “Mi sono trovato veramente molto bene qui a Sulmona a livello personale e familiare. GLI ASPETTI PROFESSIONALI INVECE MI HANNO MOLTO DELUSO, SONO AMAREGGIATO NON LO NASCONDO. NON AVREI MAI IMMAGINATO DI TROVARE COSÌ TANTE DIFFICOLTÀ INTERNE ALL’AMMINISTRAZIONE NEL FARE PREVENZIONE E ATTIVITÀ D’INDAGINE, NON HO MAI CONDIVISO CERTI ORIENTAMENTI E PER QUESTO SONO CONTENTO DI LASCIARE”.

Queste parole andrebbero approfondite e analizzate una per una, perché è raro che un ufficiale si lasci andare a simili affermazioni. La maggior parte di essi, infatti, preferisce subire per non perdere i piccoli privilegi di cui gode. Pertanto, invitiamo tutti ad uscire dal proprio orticello e a venire allo scoperto, perché oggi è toccato a lui e domani potrebbe toccare a qualcun altro. C’è infatti qualcosa che è molto più importante della carriera: si chiama dignità. Coraggio. Ognuno di noi può trovarsi a vivere periodi di grande sofferenza apparentemente insormontabili ma una persona che soffre non ha necessariamente un carattere debole. Chiedere aiuto non è da deboli, tutt’altro: sofferenza, ansia e depressione, non sono segni di fragilità o di sconfitta, ma di lotta.

NSC chiede di finirla con questa interpretazione banalizzante ed irrispettosa del dolore altrui, con questa narrazione tossica che sembra abbia contaminato tutti alla stregua di un virus. Dopo un suicidio è ormai di routine sentir dire: “Era un debole”. E così il sistema ha scaricato per l’ennesima volta la colpa sulla vittima.

Il suicidio è un’azione complessa, non ascrivibile ad una sola causa, ma sempre da un insieme di concause: problemi familiari, problemi economici, problemi ambientali, problemi di mancata realizzazione professionale, problemi legati all’ipotetico fallimento della mascolinità tanto cara all’ambiente militare, problemi giudiziari, problemi disciplinari o anche – e forse soprattutto – problemi legati alla sensazione di vivere nell’ingiustizia. Un’imbarazzante sensazione questa, per donne e uomini che lavorano al servizio della giustizia sociale. In particolare, l’Osservatorio Suicidi in Divisa (O.S.D.), – con il quale NSC collabora da mesi anche nello studio delle dinamiche dei nostri ambienti lavorativi – si è concentrato maggiormente sullo studio dei fattori “sistemici dell’organizzazione militare”. Nell’ambito di questa collaborazione continueremo ad ascoltare e supportare i nostri colleghi in difficoltà, con l’obiettivo di fornire all’Amministrazione dell’Arma idee e contributi atti a eliminare eventuali influenze negative, per sostituirle con azioni positive. 

Chiediamo al Comando Generale di costituire un nuovo tavolo di lavoro sul tema con le Associazioni Sindacali. Il fenomeno non accenna ad arrestarsi e non è possibile attendere oltre. Ce lo chiede il personale. Ce lo chiedono i familiari. E ce lo chiede soprattutto la dignità della nostra Istituzione. 

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