La crisi frena i profitti delle banche

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Se si dovesse valutare lo stato di salute delle banche italiane dal balzo in avanti innestato ieri in Borsa dal comparto, tutto sembrerebbe andare per il meglio. Ma è una lettura superficiale e ingannevole. È da mesi che le banche oscillano all’insù e all’ingiù e di certo non in base ai dati di bilancio. In realtà dai conti comunicati ieri dal gruppo dei principali istituti, sono più le ombre delle luci a prevalere. Certo, dopo la pulizia degli avviamenti effettuata nei mesi addietro, le due grandi banche UniCredit e Intesa continuano a fare utili. E di questi tempi con l’economia in recessione sfornare profitti non è cosa da poco. Ma in realtà la tenuta degli utili non viene certo dall’attività tipica, quella di prestare denaro. Lì il piatto piange. Il margine d’interesse sia per Intesa che per UniCredit è infatti fermo. Non c’è da stupirsi del resto. Con i volumi del credito in contrazione e con i tassi d’interesse ai minimi storici le banche fanno sempre più fatica a produrre ricavi intermediando il denaro. E paradossalmente è quasi meglio (per le banche in questa fase) prestare meno denaro possibile. La forbice tra tassi attivi e passivi non è poi così invitante e soprattutto concedere nuovo credito in un’economia in forte contrazione può divenire un boomerang. Troppi banchieri sono ossessionati ormai da due anni dalle sofferenze, balzate dai 50 miliardi di fine 2009 ai 116 miliardi di questi mesi. Ed è proprio la qualità degli attivi bancari, squassati dalle continue perdite sui crediti, la minaccia costante per il sistema. Tanto che proprio ieri il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha convocato un summit delle grandi banche per il 19 novembre sul tema scottante della qualità del credito.
Perdite su crediti in aumento
Del resto basta scorrere i bilanci pubblicati ieri. Intesa Sanpaolo ha visto le rettifiche sui crediti passare da 2,2 miliardi del settembre 2011 ai 3,25 miliardi di settembre 2012. In un anno un +48%. Per UniCredit le rettifiche sui prestiti sono state di 5,1 miliardi (4,5 miliardi 12 mesi fa). Ma il trend di pulizia dai bilanci dei prestiti “cattivi” non risparmia nessuno. Anche le banche minori (vedi tabella in pagina) ne sono intaccate.
Ma non è solo la continua opera di bonifica (con conseguenti perdite per le banche) dei crediti non più incassabili a preoccupare i banchieri. È il continuo accumulo a destare più di un’inquietudine. Per UniCredit ad esempio lo stock dei crediti deteriorati lordi è arrivato a quota 80 miliardi (9 miliardi in più rispetto a un anno fa). Per Intesa i nuovi flussi di incagli e sofferenze sono saliti in un solo anno di 3,4 miliardi e lo stock dei prestiti deteriorati lordi è salito a 47,5 miliardi dai poco meno di 42 miliardi del dicembre 2011.
Quei profitti sui BTp
Se quindi il prestare denaro rende poco e i bilanci sono caricati del fardello che si trascina delle perdite sui crediti erogati anni addietro, occorre per i banchieri trovare il modo di non finire in perdita. E voilà, l’escamotage è stato fin troppo facile da trovare. Le banche, più o meno tutte, si sono messe a fare profitti con il trading finanziario. Non è affatto un caso che il filo rosso che le unisce è proprio il forte, fortissimo incremento dei ricavi da negoziazione. Per Intesa i guadagni da trading sono saliti da 747 milioni del settembre 2011 a 1,5 miliardi del settembre scorso. UniCredit li ha visti balzare da 864 milioni a 2 miliardi. La Popolare di Milano da 7 milioni a 114 milioni. Profitti facili determinati dalle due manovre di Draghi che hanno permesso di finanziarsi allo 0,75%. Ti indebiti a basso costo, compri BTp (di cui le banche hanno fatto incetta) al 4-5% e lucri sulla differenza. Poi hanno contribuito fortemente, oltre al trading sui titoli di Stato, le operazioni intense di compravendita effettuate dalle banche sui propri titoli.
Ed ecco allora che tenere la barra dell’utile netto per i due colossi del credito italiano non è stato poi così difficile. Resta però sullo sfondo il fatto indubitabile che per contrastare l’immobilità dei ricavi dal core business (prestare soldi a imprese e famiglie) le banche si sono messe a fare le banche d’investimento. Un palliativo per tenere insieme i conti, minacciati dalle sofferenze. Il vero macigno che da ormai più di 2 anni zavorra il sistema del credito italiano.

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