L’Associazione del Private Equity ha inviato al governo delle proposte a favore del private capital
Già nei giorni scorsi il direttore generale di AIFI, Anna Gervasoni, aveva proposto una serie di temi ai quali l’associazione stava lavorando e che avrebbero l’effetto ultimo di liberare nuove risorse, a costo zero per lo Stato, per investire nell’economia reale italiana.
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Già nei giorni scorsi il direttore generale di AIFI, Anna Gervasoni, aveva proposto una serie di temi ai quali l’associazione stava lavorando e che avrebbero l’effetto ultimo di liberare nuove risorse, a costo zero per lo Stato, per investire nell’economia reale italiana. Si andava dal recupero dell’incentivo fiscale per gli Eltif nella forma di detassazione dei capital gain, che era rimasto lettera morta perché non era mai stato chiesto alla Ue se la misura era o meno da considerarsi aiuto di Stato,  all’innalzamento dal 30% al 40% della detrazione e deduzione fiscale per i sottoscrittori di fondi di venture capital,  pure mai applicata per gli stessi motivi. E poi la riduzione della soglia minima di investimento in fondi alternativi riservati, incentivi fiscali per il risparmio previdenziale investito in economia reale e un chiarimento sulle cosiddette fronting structure, dopo una sentenza della Cassazione che ha contestato l’utilizzo.

Le proposte di AIFI al Governo italiano sono:

  1. promozione dell’investimento di fondi pensione e casse di previdenza in tutte le asset class di private capital;
  2. abbassamento della soglia di investimento per gli investitori privati in fondi riservati;
  3. riduzione della soglia minima di investimento per gli investitori privati in fondi riservati da 500 mila a 100 mila euro o la previsione di una categoria di investitori semi-professionali;
  4. attrazione di capitali istituzionali verso le diverse asset class del private capital;
  5. attivazione delle risorse erogate da Cdp attraverso il Fondo Italiano d’Investimento e Cdp Venture Capital, con un’azione di moral suasion a investirvi su fondi pensione, casse di previdenza e compagnie assicurative;
  6.  supporto con un fondo di fondi di turnaround che dia impulso a tali operatori anche per affiancare il sistema bancario nella gestione di situazioni di crisi aziendali.

Per quanto concerne il venture capital, l’Aifi ha chiesto:

  1. potenziamento dell’operatività del Fondo Nazionale Innovazione, destinando, oltre a quanto già previsto (circa un miliardo di euro tra risorse Mise e Cdp), ulteriori risorse da parte del Mise volte a rafforzare il fondo di fondi venture (con una ulteriore auspicabile destinazione di 200 milioni da parte del Mise oltre alle risorse già pianificate su tale fondo – 200 milioni già apportati da Cdp e 100 milioni in corso di sottoscrizione da Mise – per un totale di 500 milioni);
  2. nuova dotazione di risorse Mise (ipotesi: 200 milioni) per investimenti in round B o C volti a rafforzare le imprese in portafoglio dei fondi di venture capital;
  3. lancio di un nuovo fondo di technology transfer sulla base della positiva esperienza di ITAtech;
  4. rafforzamento del fondo centrale di garanzia per startup innovative per supportarle.

Infine, AIFI suggerisce la promozione del private debt attraverso l’incentivo fiscale previsto, nella forma di detassazione dei capital gain, per fondi pensione e casse di previdenza.

Il 23 marzo scorso, presentando i dati su private equity e venture capital relativi al 2019 elaborati in collaborazione con PwC-Deals, il presidente di AIFI Innocenzo Cipolletta ha segnalato che i fondi sono preoccupati per l’emergenza sanitaria innescata dal coronavirus e stanno rafforzando la liquidità delle loro controllate, in previsione di una riduzione del loro business. “Abbiamo pochi fondi di turnaround e questo si rivelerà un handicap nel 2021 e 2022, quando molte aziende italiane dovranno essere rilanciate a causa della crisi economica post-coronavirus”, aveva aggiunto il presidente di Aifi. Interpellato sulla possibilità che i crolli dei prezzi azionari suscitino appetiti di m&a “a prezzi di saldo”, il presidente di Aifi ha rassicurato: “La maggior parte delle aziende italiane quotate sono in mano ad azionisti di controllo, cui non conviene vendere le loro quote a prezzi così bassi”.

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