Nodo esuberi nel sistema bancario, scendono in campo i sindacati confederali

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Monta l’allarme occupazione nel sistema bancario italiano, e scendono in campo i sindacati confederali, con la Cisl in prima fila. Dopo l’incontro tra Abi e rappresentanti dei lavoratori di martedì 16 ottobre, dal quale è emersa l’ipotesi di 35 mila esuberi per il comparto, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha chiesto «che le banche e l’Abi facciano chiarezza» sull’entità dei tagli allo studio degli istituti interessati da profondi piani di riorganizzazione.

Bonanni ha lanciato un fronte comune con la Fabi condividendo l’impressione del segretario Lando Sileoni «che le banche stiano preparando il terreno per una riduzione del personale. Se ci saranno davvero 35 mila esuberi in questo settore», ha aggiunto Bonanni, «sarebbe un fatto disastroso per questa categoria e per l’intero sistema del credito». In realtà l’entità dei tagli per il comparto è ancora molto nebulosa; la stima di 35 mila unità, che non è stata messa ufficialmente sul tavolo dall’Abi durante l’incontro di martedì, sembra corrispondere più che altro al peggiore degli scenari possibili. Sta di fatto che il calo della produttività, le stringenti norme nazionali ed europee (in primo luogo Basilea 3) e gli oneri legati alla riforma Fornero hanno reso il Fondo di Solidarietà uno strumento insufficiente a coprire i costi di ristrutturazione del sistema bancario. Alla luce di questi elementi, richiamati dal numero uno dell’Abi Giuseppe Mussari, la via dei prepensionamenti obbligatori sembra diventare sempre più una scelta obbligata per l’industria bancaria, e le parti potrebbero cercare un accordo su una riduzione tra 27 e 28 mila addetti. Sul punto Bonanni ha comunque mantenuto un atteggiamento guardingo: «L’ipotesi di applicazione obbligatoria del Fondo di Solidarietà da parte delle banche incrinerebbe la coesione sociale del settore bancario». Che il tema delle tensioni occupazionali nel comparto sia sempre più urgente e scottante è confermato dall’andamento dei singoli tavoli aperti, giunti nella maggior parte dei casi al momento della verità. Sono cinque le situazioni al centro dell’attenzione dei sindacati, e sulle quali pende come una spada di Damocle il tema dell’obbligatorietà dell’accesso al Fondo.
Ieri si è chiusa con un nulla di fatto la trattativa Ubi Banca, dove ci sono 1.578 esuberi sul tavolo. L’oggetto del contendere sono proprio i 700 prepensionamenti e i circa 2.500 part time obbligatori proposti dall’azienda allo scopo di risparmiare 115 milioni. Dal 22 ottobre partiranno le assemblee territoriali del gruppo, che si dovrebbero protrarre fino alla fine di novembre. «Al momento l’azienda non ha manifestato intenzione di procedere unilateralmente alla disdetta dei contratti aziendali o a licenziamenti collettivi», commenta il coordinatore Fabi Paolo Citterio, «ma qualora lo dovesse fare non esiteremo a proclamare lo sciopero». In stallo anche la situazione della Popolare di Milano. In Piazza Meda ieri è andata avanti la discussione sul piano industriale al 2014, che prevede la riduzione del personale per circa 700 unità e la chiusura di una trentina di sportelli. Ancora distanti le posizioni tra le parti in causa, ma l’intenzione dichiarata dal management di Bpm è quella di evitare l’imposizione di prepensionamenti ed esuberi obbligatori. Il tempo per trovare una via d’uscita è comunque agli sgoccioli, visto che lo stop alle trattative scatterà domani. Anche sul versante di Intesa Sanpaolo la situazione fatica a sbloccarsi: dall’ennesimo incontro di ieri, in un clima reso più turbolento dalla vicenda del licenziamento degli apprendisti, si è levata una fumata nera. Oggi le trattative proseguiranno a Roma. Le altre situazioni sospese riguardano Veneto Banca (la procedura è formalmente terminata a inizio ottobre, ma le trattative procedono) e Monte dei Paschi, dove si è giunti a un vero e proprio muro contro muro.
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