Recesso, informazione obbligatoria

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La nullità del mutuo fatto al fine di comprare titoli non è sanabile se la banca non ha informato il cliente della possibilità di recesso. Nemmeno alla luce delle novità introdotte dal dl 69/2013. Via libera, invece, al diritto di mera negoziazione. Il dl 69, infatti, non è interpretazione autentica. È, inoltre, servizio di investimento il prestito che serve a comprare strumenti poi dati in pegno a garanzia della restituzione. È quanto emerge dalla sentenza 7776/14, della terza sezione civile della Cassazione, pubblicata ieri. Per il risparmiatore il diritto di recesso dai contratti di investimento stipulati fuori dalla sede dell’intermediario finanziario spetta anche nel caso di operazioni di negoziazione di titoli per conto proprio. E ciò non solo per i contratti firmati con la banca dopo il primo settembre 2013, ma anche prima. La norma del dl 69 che indica il diritto dell’investitore da quella data, infatti, non è di interpretazione autentica e, dunque, non ha avuto l’effetto di sanare l’eventuale nullità di contratti stipulati in passato nei quali non si avvisava l’utente dell’esistenza del diritto di recesso. Ne consegue che è nullo, senza informazione del diritto di ripensamento, il contratto che l’investitore ha sottoscritto, ad esempio nel suo studio privato, contraendo con la banca un mutuo per acquistare titoli emessi dallo stesso intermediario e dati poi in pegno all’istituto di credito a garanzia della restituzione del finanziamento. Il caso nasce dall’accoglimento del ricorso del risparmiatore. In realtà l’operazione intercorsa fra risparmiatore e banca integra un unico contratto atipico che rientra fra i servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, del Testo unico sulla finanza. In ogni caso, poi, il diritto di recesso per i contratti fuori sede si applica sia nel caso di vendita di strumenti finanziari per i quali l’intermediario assume un obbligo di collocamento nei confronti dell’emittente sia nel caso di mera negoziazione di titoli. Inutile per la banca sostenere la tesi secondo cui la norma del decreto fare sanerebbe le eventuali nullità dei contratti precedenti. In ogni caso la lettura proposta dall’istituto di credito finirebbe per porre la norma in contrasto con gli articoli 101 e 104 della Costituzione nella parte in cui finirebbe per vanificare con effetto retroattivo la pronuncia 13905/13 emessa dalle sezioni unite civili.

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