In realtà, si è trattato di un rimbalzo dai minimi registrati nel quarto trimestre 2018 causati da un’insieme di circostanze particolari: dai timori di rallentamento in Cina e in altre importanti aree del mondo (Europa e Giappone) alle deroghe alle sanzioni Usa a Teheran in concomitanza di un aumento della produzione dell’Arabia Saudita e della Russia (prese in contropiede dalla mossa di Washington più conciliante con l’Iran). Tuttavia, la decisione dei membri Opec a cui si è aggiunta la Russia di tagliare la produzione fino a 1,2 milioni di barili al giorno, la nuova crisi Venezuelana e segnali meno preoccupanti circa il rallentamento cinese, hanno spinto le quotazioni del greggio dai minimi di dicembre di oltre 20 punti percentuali in dollari. Più in particolare, si è passati dagli 86 dollari al barile per il Brent di inizio ottobre 2018 al minimo di 51 dollari alla vigilia di Natale: da allora un rimbalzo fino ai 62,4 dollari attuali.
L’OPZIONE PUT SAUDITA SUL GREGGIO
La cosa interessante, come ha rivelato Marketwatch, è che alcuni analisti, tra i quali lo strategist del settore energia di Rabobank Ryan Fitzmaurice in un report di venerdì 1 febbraio, sostengono che ci sia una ‘put’ saudita sui prezzi del petrolio. Un’opzione put dà al possessore il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un’attività sottostante ad un prezzo prestabilito entro un certo periodo di tempo: si tratta di una copertura potenzialmente preziosa se un investimento al rialzo su una specifica asset class finanziaria procede in direzione opposta e cioè al ribasso.
LA ‘FED PUT’
Si è parlato di recente della ‘Fed put’ in seguito alla convinzione, sostenuta da alcuni trader di mercato, che la banca centrale statunitense sia pronta a modificare la politica monetaria o comunque tenderà ad agire per rafforzare i mercati finanziari in caso di shock. Le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve nel suo primo meeting annuale hanno confermato la tesi di una ‘Fed put’ sul mercato azionario mentre le mosse dell’Arabia Saudita, il più grande esportatore di greggio del mondo, hanno convinto Ryan Fitzmaurice che si possa parlare anche di una ‘put saudita’ sui i prezzi del petrolio se questi dovessero scendere troppo.
USA, MENO IMPORT DI GREGGIO SAUDITA
“Il ministro per l’energia dell’Arabia Saudita, Khalid al-Falih, ha chiarito l’obiettivo del Regno di ridurre le forniture globali di petrolio al di sotto della media quinquennale, che è semplicemente un altro modo per dire ‘prezzi più alti’ “, ha commentato Ryan Fitzmaurice. Il ministro ha anche indicato in numerose occasioni che saranno gli Stati Uniti a sopportare il peso dei tagli di produzione concordati dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) e dai suoi alleati alla fine dell’anno scorso. A sostenere questa tesi i dati della Energy Information Administration della scorsa settimana che mostrano come le importazioni statunitensi di greggio saudita siano precipitate a soli 442.000 barili al giorno, il livello più basso dall’ottobre del 2017: una forte indicazione di ciò che dovrebbe essere nei prossimi mesi. Ma c’è di più. Le ultime notizie segnalano che i sauditi non hanno alcuna intenzione di intervenire per colmare eventuali carenze negli approvvigionamenti degli Stati Uniti provocati dalle sanzioni al Venezuela.
SAUDI VISION 2030
Anche coloro che citano l’ambizioso programma ‘Saudi Vision 2030’ che mira a diversificare l’economia del Regno rispetto al petrolio, devono sapere che, nel breve periodo, i prezzi del petrolio più alti sono semplicemente necessari per finanziare tale mission. Come dire è quasi certo che i sauditi continueranno a essere una forte forza trainante del mercato e useranno tutta la loro leva disponibile per mettere un “pavimento” alla discesa dei prezzi del petrolio.