L’industria culturale è fra i settori strategici nazionali e, sebbene negli ultimi due anni abbia scontato una certa difficoltà nel tornare ai livelli produttivi di pre-pandemia, l’incidenza sul valore aggiunto nazionale è ancora elevata. Eppure l’Italia resta il paese dei distinguo, una nazione nella quale creare ricchezza nel mondo creativo può rappresentare una sfida decisamente differente a seconda del territorio di azione. Il rapporto «Io Sono Cultura» della Fondazione Symbola ci indica un peso medio nazionale delle attività culturali pari al 5,6%, ma per il Sud e le isole questo dato scendeva al 3,8 per cento.
Viceversa in città come Milano, Roma e Torino si raggiungono vette rispettivamente del 9,5%, 8,5% e 8,2%. Per allontanarsi dalla freddezza dei numeri e comprendere le effettive motivazioni di questi divari basta però confrontarsi con chi l’impresa creativa la sviluppa direttamente sui territori, a cominciare da un’isola come la Sardegna, di bellezza ineffabile ma al tempo stesso afflitta dal gap delle distanze. Da 25 anni si tiene infatti l’Abbabula Festival, organizzato dalla Cooperativa Le Ragazze Terribili fra Sassari e Alghero, per questa edizione in programma fino al 12 agosto.
La nuova line up si divide fra nomi noti del panorama nazionale (fra cui Verdena, Francesca Michielin, Niccolò Fabi e Stefano Bollani), suggestioni sudamericane (Son Rompe Pera, La Dame Blanche) e talenti locali, esplorando una terra antica, ricca di siti archeologici unici al mondo e di veri gioielli naturalistici. «Nella progettazione del Festival cerchiamo spesso ispirazione in questi luoghi», spiega Barbara Vargiu, presidente de Le Ragazze Terribili. «Quest’anno abbiamo previsto un silent concert nelle Grotte di Nettuno ad Alghero, che il pubblico raggiungerà via mare. Lo spettacolo inizierà su un battello sotto le spettacolari falesie di Capo Caccia. La storia e lo spirito profondo di un luogo trasformano l’ascolto di un concerto in un’esperienza più ricca e indimenticabile».
Lavorare nel mondo dello spettacolo dal vivo in Sardegna presenta però delle difficoltà decisamente particolari, che per la cooperativa sono anche parte di una sfida quotidiana, da affrontare con un sincero spirito di rivalsa. «L’insularità è stata la molla che ci ha fatto partire», precisa Vargiu. «Abbiamo iniziato a organizzare concerti perché da giovanissime ci eravamo stancate di affrontare vere e proprie odissee, tra navi e treni, per raggiungere i nostri artisti preferiti in Italia e in Europa. Trentacinque anni fa abbiamo deciso che sarebbero stati i cantanti e i gruppi a venire da noi, trasformando un limite in un’opportunità. Abbiamo iniziato come associazione e poi ci siamo professionalizzate, fino a mettere su un’impresa culturale florida e in attivo. Qui non abbiamo quella porzione di settore industriale che investe in cultura come nel resto d’Italia, per esempio i grandi marchi. Ci sono alcune fondazioni bancarie o le camere di commercio che, dopo molti anni di dialogo e confronto, stanno aumentando il loro sostegno e poi ci sono le piccole aziende locali che crescono e trovano negli eventi culturali un efficace strumento di promozione».
Il risultato sono eventi di grande appeal, che rispondono alla crescente domanda di esperienze immersive. Proprio questo tipo di esperienze deve trovare il giusto equilibrio con il tema delle sostenibilità, un aspetto che per una regione come la Sardegna diviene elemento assolutamente imprescindibile. «Per noi la promozione di turismo culturale deve rispettare il delicato ecosistema in cui viviamo», prosegue Vargiu, «per esempio selezionando spazi con varie capienze senza pensare sempre e solo ai grandi numeri. Ci impegniamo anche nell’ideazione di “passeggiate performative” alla scoperta del paesaggio urbano o nella produzione di spettacoli che reinterpretino la tradizione, così da favorire la creatività contemporanea e i nuovi linguaggi musicali».