Alle banche italiane 4 miliardi di aiuti penultimi nella classifica europea

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Nei giorni del confronto con Bruxelles per l’approvazione della legga di Stabilità, il Ministero dell’Economia si fa promotore di una iniziativa su Twitter in cui rilancia l’hashtag #prideandprejudice.
Con il capolavoro di Jane Austen, che nelle ultime stagioni sta conoscendo una nuova primavera grazie a film, sceneggiati e parodie varie, ha poco in comune se non il titolo che diventa ora slogan dei primati che possiamo vantare anche in campo economico.
Esattamente la percezione contraria che si ha del nostro paese.
«L’Italia – si legge sul sito del Mef – viene spesso descritta, soprattutto nella comunità internazionale, sulla base di alcuni indicatori negativi: il debito pubblico, la bassa competitività, il deficit nominale di bilancio che in passato ha determinato l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Tuttavia, accanto a questi dati ci sono grandezze economiche utili a rappresentare l’Italia per ciò che è: uno dei paesi principali del mondo sviluppato, il secondo paese per produzione manifatturiera in Europa, la terza economia dell’Eurozona».
Il sito internet del Ministero li ha messi tutti in fila, con numeri a corredo. Si parte dalle banche: «I dati Eurostat mostrano come nel periodo della crisi economica (2007-2013) i sistemi bancari e finanziari nazionali di 17 paesi dell’area euro abbiano ricevuto aiuti dai governi nazionali con importi molto differenti. Sui 519 miliardi complessivi nell’Eurozona, le banche italiane hanno ricevuto solo 4 miliardi, a fronte dei 250 miliardi percepiti da quelle tedesche e dei 165 miliardi da quelle britanniche». L’elenco prosegue con altri primati. Per esempio: «L’Italia è stato il terzo contributore nella Ue di fondi “salvastati” (Irlanda, Grecia, Portogallo, Cipro)». E ancora: «L’Italia può vantare un indice di sostenibilità economica, sia nel breve che nel mediolungo periodo, inferiore alla media tra i 27 paesi della Ue». Infine, il debito pubblico: «Dall’inizio della crisi economica, è cresciuto ad una velocità inferiore rispetto sia agli Stati Uniti che ad altri paesi dell’Unione europea». Lo sappiamo: il problema è quanto è cresciuto negli anni prima della crisi.
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