Arriva l’utile per Carige
Carige aspetta l'arrivo di Bonomi

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Genova – Il rapporto «dialettico ma costruttivo» con l’azionista Malacalza. Il «bisogno di stabilità» della banca e l’attesa istanza di revoca del consiglio d’amministrazione del nuovo socio Mincione, che se dovesse procedere «esercita un diritto garantito dal codice e alla fine i diritti prevalgono sulle opportunità». I primi risultati gestionali del 2018, che lo rendono felice «per i numeri e per le attitudini, il lavoro che stanno facendo le persone è importante».

In questa intervista in esclusiva, Paolo Fiorentino, ad di Carige, racconta come procede il risanamento e risponde alle domande sulle tensioni che attraversano la banca senza scomporsi. Quando gli si chiede se a Genova lo riconoscono per strada risponde con ironia: «Sono popolarissimo, ma più che conosciuto mi piace che sia riconosciuto il mio lavoro».

Il 2017 è stato difficile, chiuso con 388 milioni di perdita.

«È stato un anno di pulizie, abbiamo tirato via 2,1 miliardi di Npl, il che ha prodotto una perdita importante. La pressione avuta sulla liquidità ha comportato un impegno finanziario nell’attrarre nuovi depositi. La stratificazione di problemi che ho trovato in banca è tale che anche nel 2018 faremo interventi sui deteriorati, ma confermo che questo è l’anno con l’obiettivo dell’attivo di bilancio».

Quanti crediti deteriorati cederete nel 2018?

«Il 27 ci sarà passaggio importante in cda. Il mio obiettivo è di andare intorno ai 1,4 miliardi tra Utp e Npl».

Com’è cominciato l’anno?

«Quasi tutti i comparti del nostro core business mostrano tassi di crescita a doppia cifra sullo stesso periodo del 2017, a dimostrazione che dopo un periodo iniziale di rodaggio ora la macchina commerciale si è rimessa in moto. Abbiamo focalizzato la banca sul segmento del piccolo business e corporate. E dall’inizio dell’anno abbiamo erogato 130 milioni. Rispetto a febbraio 2017, le sottoscrizioni di mutui da parte delle imprese sono cresciute in maniera molto considerevole. Stiamo assistendo anche alla crescita del risparmio gestito con la sottoscrizione dei fondi comuni con incrementi notevoli».

La banca del territorio?

«Non era uno slogan. Oggi il 49% delle delibere viene gestito direttamente dalla rete, un altro 22% a livello di area».

La gestione ordinaria è organizzazione, motivare le persone.

«Abbiamo un passaggio importante il 22 marzo: ai Magazzini radunerò tutto il commerciale per fare il punto su dove siamo e dove vogliamo arrivare».

Perché Vittorio Malacalza è uscito dal consiglio senza votare il bilancio 2017?

«Deve chiederlo a lui. I rapporti con l’ingegnere sono improntati a una dialettica impegnativa che entrambi consideriamo costruttiva. Tutti e due abbiamo in testa che bisogna fare le cose che fanno bene alla banca. Nessuno dei due ha agende personali. Se riusciremo a coniugare la sua esperienza e intuito di imprenditore con la mia esperienza nel mondo bancario il nostro 1 più 1 potrà fare 3. Ma in ogni caso non smetteremo mai di dibattere perché siamo persone con personalità forti».

È stato corretto non accogliere l’istanza del socio Mincione (5,4%) che chiedeva di entrare in cda?

«Il cda non è la sede opportuna per tali questioni, soprattutto se non è supportato da un confronto con gli altri azionisti. Faccio fatica a ricordare situazioni in cui a fronte di richieste il cda abbia preso decisioni alternative».

Il finanziere potrebbe chiedere la revoca del consiglio: è opportuno o no in questa fase della banca?

«La banca in questo momento ha bisogno di stabilità. Come manager lavoro perché ci sia. Elementi che possano creare instabilità non sono l’ideale, ma poi naturalmente ognuno gestisce i propri diritti garantiti dal codice e capisco che il diritto possa vincere sull’opportunità».

Lei ha contatti con gli azionisti di Carige?

«È uno dei miei doveri professionali. Se vengo chiamato vado a parlare con tutti, a cominciare dai piccoli».

Mincione come le è parso?

«Ho scambiato qualche opinione con lui e mi ha confermato che è entrato perché condivide il piano di rilancio. Mi sembra che gli azionisti vogliano tutti la stessa cosa: magari se si parlassero potrebbero andare d’accordo».

Perché i fondi sono così interessati alla banca?

«Carige resta una delle opportunità di investimento, nel settore, più economica. Dall’esterno si ritiene che quanto fatto sinora è stato fatto in modo egregio in termini di modalità e tempi: questo giova alla reputazione dei manager, ma soprattutto della banca, che ha acquisito credibilità sull’esecuzione».

Malacalza Investimenti, socio di maggioranza al 20,6%, ha un’opinione diversa. Dopo il botta e risposta avuto sull’aumento, novità?

«Il cda mi ha sostenuto condividendo tutti i passaggi e deliberando in tempi brevi e consapevolmente; abbiamo fatto anche molte riunioni preparatorie ai consigli che hanno aiutato, ove ce ne fosse bisogno, anche nella comprensione tecnica di passaggi delicati. La nostra operazione ha evidentemente ispirato quella di Creval, che ha avuto altrettanto successo».

Immobili e dismissioni. Offerte per la sede di Roma?

«Non ci convincevano, non abbiamo interesse a svendere, per ora abbiamo ritirato l’immobile dal mercato. In via Bissolati abbiamo una filiale, faremo anche il private».

L’operazione Messina-Aponte si è incagliata?

«No, il pre-accordo sarà siglato entro aprile».

La filiale Carige di Nizza?

«È stata chiusa la scorsa settimana».

Aggregazioni. Qual è la banca industrialmente più compatibile con Genova?

«Tante. Carige è ligure e nord-toscana: può essere complementare a più partner. Il nostro lavoro è dare alla banca delle opzioni: andare avanti da sola o avere opportunità sulle aggregazioni. Sulle acquisizioni la volontà degli azionisti sarà fondamentale».

Borsa: arriverà una stagione rialzista del titolo?

«Stiamo lavorando a buona trimestrale, siamo fiduciosi».

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