Banca Carige finisce nella bufera
Carige aspetta l'arrivo di Bonomi

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L’aumento di capitale da 560 milioni di euro vitale per la sua sopravvivenza che rischia di deragliare e accuse al vetriolo da parte dell’azionista di riferimento alle banche del consorzio di garanzia, colpevoli, a suo dire, di aver fatto mancare il proprio sostegno a Carige.

Sotto lo sguardo impietrito della vigilanza, tocca all’a.d Paolo Fiorentino, in una giornata di contatti frenetici, cercare di mettere a posto i cocci per far ripartire l’operazione.
Un tentativo i cui risultati sono stati esaminati in serata del Cda dell’istituto ligure, mentre oggi il banchiere vedrà sia le banche (Credit Suisse, Deutsche Bank e Barclays) che Malacalza con l’obiettivo di ricomporre la situazione.

“Nel corso della giornata, il top management di Banca Carige ha continuato a lavorare, cosa che farà anche domani, per determinare la finalizzazione del consorzio di garanzia”, ha affermato in serata la banca, dopo che il cda ha preso atto di quanto comunicato da Fiorentino “in merito ai progressi nel dialogo con gli azionisti di riferimento, con gli investitori istituzionali e con le banche del consorzio di garanzia”.

Lo psicodramma di Carige si era consumato prima dell’apertura di Borsa con la banca che, anziché comunicare il prezzo dell’aumento, ha reso noto che “non si sono pienamente realizzate le condizioni” per formare il consorzio di garanzia, tassello indispensabile perché la ricapitalizzazione possa partire. Il titolo viene così sospeso dalle contrattazioni di Borsa, da cui sarebbe uscito polverizzato, lasciando il conto in carico alle altre banche, con il Creval, impegnato a sua volta in un difficilissimo aumento, che viene preso a sassate (-19%) e resta congelato per gran parte della seduta. Ma pagano pegno anche Mps (-4%), Bpm (-2,8%), Bper (-2,7%) e Ubi (-2,5%).

Intanto Carige riunisce alle 9:30 un Cda straordinario “per informare Consiglieri e Sindaci della situazione e valutare i prossimi passi” mentre a Fiorentino viene affidato il compito di verificare “l’esistenza dei presupposti per il proseguimento del piano di risanamento della Banca e per una eventuale proroga” della ricapitalizzazione, che la Bce ha imposto di chiudere entro fine anno.

Per il banchiere inizia un frenetico tour de force, che proseguirà anche domani.
Ma perché le banche si sono tirate indietro? Dal fronte degli istituti si fa notare che sarebbe mancato un impegno scritto incondizionato di Malacalza.

Investimenti per la sottoscrizione pro quota dell’aumento. – Dal canto suo la holding, primo azionista di Carige con il 17,6%, in una durissima nota ha comunicato di aver chiesto alla Bce lo scorso 26 ottobre l’autorizzazione a salire al 28% di Carige e di aver comunicato domenica scorsa a Fiorentino la disponibilità a sottoscrivere pro-quota l’aumento.
“Nelle ultime 48 ore si sono succedute posizioni contraddittorie del consorzio in merito a ulteriori esigenze” accusa Malacalza che, “nonostante lo sconcertante contesto”, conferma il proprio “sostegno” alla banca, senza che lo stesso possa tradursi in una “impropria supplenza” del consorzio e subordinatamente alle decisioni della Bce sulla richiesta di salire nel capitale.

Al di là delle accuse incrociate, quello che ora serve è ricucire.
Carige dispone di impegni di sottoscrizione sull’11,7%, che potrebbero salire al 28% nel caso in cui Malacalza venga autorizzato ad aumentare la sua quota. Resta da piazzare un altro 60% dell’aumento, obiettivo reso più complesso dalla clima negativo alimentato dalla Bce e dall’aumento del Creval. Ma senza il consorzio di garanzia la situazione precipiterebbe, con la banca che, senza l’ennesimo intervento di sistema ‘privatistico’, rischierebbe di finire in risoluzione.

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