«Bpm? Giarda è un traghettatore»

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Il fronte Lamberto Dini-Raffaele Mincione rinuncia in toto alla corsa al vertice della Popolare di Milano. All’indomani del ritiro dell’ex premier , è Mincione a chiamarsi fuori: «Ho deciso, in linea con il consiglio ricevuto dal presidente del mio advisory board, di non presentare alcuna lista neppure per i posti del Cds riservati ai fondi», sottolinea al Giornale l’uomo d’affari che con il 7% è il secondo socio di capitale di Bpm alle spalle del presidente uscente Andrea Bonomi (8%).
Il fondo Athena era stato oggetto dell’attenzione della Consob, ma Mincione nega qualsiasi connessione con il passo indietro: «Il mio fondo è regolamentato in Lussemburgo e con Consob abbiamo già chiarito tutto da oltre dieci giorni. Dini e io ci ritiriamo prima dell’assemblea perché mancano le condizioni per competere. È una scelta di coerenza che in tempi recenti non ho invece visto adottare dal vertice di Bpm». Il 21 dicembre i soci nomineranno quindi alla presidenza Piero Giarda, a capo di 11 consiglieri espressione del «pentapartito» sindacati-pensionati. Quattro posti dovrebbero essere per i soci esterni di Piero Lonardi.
Dini ha ammesso che gli è venuto a mancare il sostegno delle forze interne all’istituto. Vi siete sentiti traditi?
«No. Non siamo noi a essere stati traditi, ma la banca e nello specifico i suoi azionisti e dipendenti. Questo è stato possibile per mezzo di un programma che ritengo essere opaco».
Quanto ha pesato l’ordine impartito da Bankitalia a tutti i contendenti di isolare la vecchia guardia espressione dell’Associazione Amici?
«La Vigilanza ha un ruolo rilevantissimo nel determinare gli indirizzi come regulator. C’è, però, un altro dato saliente: Giarda, come sarebbe accaduto a Dini, agirà da traghettore, perché Bpm necessita di una soluzione definitiva. Il problema è però che tutti gli interlocutori che ho incontrato mi sono parsi molto confusi e quasi privi di idee per realizzarlo. Come evidenziato da Dini, stiamo ascoltando slogan, che saranno disattesi».
Lei ha già criticato la gestione Bonomi, cosa pensa ora della soluzione Giarda e della difesa della cooperativa?
«Non ho elementi sufficienti per esprimere un giudizio ma, come azionista rilevante, vigilerò sul suo operato».
Oltre all’ipotesi spa avanzata da Dini, come sarebbe stato il suo progetto per Bpm?
«Salvaguardando gli aspetti mutualistici, volevamo farne un polo in grado di aggregare altre banche, e non destinato a essere aggregato».
Alcune banche d’affari stanno studiando un’eventuale fusione di Piazza Meda nel Banco Popolare, come valuta una simile operazione?
«Non sta a me dirlo, ma come investitore guarderei al concambio proposto».
Conserverà il 7% di Bpm e parteciperà all’aumento di capitale da 500 milioni?
«Dipende dalle condizioni».
Farà a breve altri investimenti in Italia e in quali settori? Molti istituti vogliono cedere i crediti deteriorati.
«Sì. Continuo a guardare con interesse al nostro Paese e ai suoi gruppi finanziari, a partire dai non performing loans. Alla condizione, però, che siano assicurate condizioni di gioco chiare e uguali per tutti, come è accaduto quando il mio gruppo ha investito in Svizzera, Germania o a Londra, dove abito».

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