Il cammino di crescita e affermazione delle start-up italiane prosegue anno dopo anno
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Se è vero che i dati relativi a investimenti da parte di fondi di private equity e venture capital, così come i fatturati che queste imprese cominciano a macinare, sono progressivamente in crescita, non si può evitare di sottolineare come – rispetto alla progressione dello sviluppo registrato in altri Paesi europei, Germania e Francia in particolare – l’Italia sia ancora una bella addormentata. E soprattutto come ancora non si sia affermata a pieno quella mentalità diffusa e orientata all’innovazione che – sola – può contribuire a fare la differenza. L’esempio? Il fatto che la crescita del sistema start-up sia ancora un fatto legato alle regioni del nord, mentre nel centro sud l’idea di start-up tecnologica dà vita a esempi ancora troppo isolati. Mentre l’innovazione in questo campo, come è noto, ha bisogno di un ecosistema allargato.
Luci, quindi, ma anche alcune ombre che non possono essere ignorate sono quelle che emergono dalla lettura dei dati dell’ultimo Report sullo stato di salute delle giovani imprese hi-tech italiane realizzato dall’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano i n collaborazione con Italia Startup , associazione che rappresenta l’ecosistema start-up italiano. Un’analisi giunta alla sua quarta edizione e che quindi consente di “tracciare” un percorso significativo di questo comparto economico.
Cominciamo dalle luci: primo fatto acclarato, non si tratta più solo di “esperimenti”, ma di imprese che hanno una propria solidità a livello di business. Il fatturato generato dalle start-up hi-tech finanziate in Italia ha raggiunto nel 2015 i 247 milioni (+ 34% rispetto al 2014) e i dipendenti assunti e presenti a bilancio aumentano in termini sia assoluti che relativi, raggiungendo le 2.420 unità (+ 55% sul 2014). Dati assodati di un’economia sana e produttiva che danno ragione della crescita di investimenti effettuati in start-up nel corso del 2016: quest’anno gli investimenti nel capitale di start-up hi-tech in Italia hanno raggiunto la cifra di 182 milioni , in crescita del 24% rispetto al valore totale consolidato rilevato nel 2015 (147 milioni). La componente legata al mondo formale (fondi d’investimento come per esempio private equity e venture capital) ha superato per la prima volta il tetto dei 100 milioni di investimenti, raggiungendo i 101 milioni e crescendo del 33% rispetto al 2015: «Un messaggio positivo importante che arriva dagli attori formali, i quali tornano in maniera decisa a farsi carico di trainare la crescita dell’ecosistema, anche attraverso alcune grandi operazioni di finanziamento che superano i 10 milioni», sottolineano dal Politecnico di Milano. La seconda componente, che aggrega il variegato mondo degli investitori informali o delle aziende che investono in capitale di rischio delle start-up al di fuori di progetti strutturati di corporate venture capital, vede anch’essa un incremento significativo, passando dai 71 milioni del 2015 agli 81 del 2016 (+ 14%).
A questo dato complessivo vanno poi aggiunti gli investimenti in start-up hi-tech italiane provenienti da attori internazionali. «Una prima stima di tali investimenti per il 2016 è pari a circa 35 milioni di euro, i quali, sommati alle componenti precedenti, porterebbero il valore complessivo degli investimenti dall’ecosistema a 217 milioni», osserva Raffaello Balocco, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Hi-tech: «Il 2016 si rivela dunque anno in cui gli investitori internazionali iniziano in maniera sostanziale e più continuativa a fornire sostegno alle start-up italiane di qualità: questa dinamica, in crescita rispetto allo scorso anno, potrà e dovrà costituire una direttrice di sviluppo essenziale per dare una dimensione globale all’ecosistema nazionale (anche nell’ottica di incentivare il processo di internazionalizzazione delle start-up nostrane, spesso abilitato proprio dall’intervento di attori esteri)».

Sono 90 le start-up che a consuntivo 2015 hanno ricevuto capitali da attori formali (rispetto alle 79 del 2014): di queste, il 75% afferisce al comparto Digital, il 17% al Life Science e Biotech e il 7% al Cleantech & Energy (il restante 1% mostra posizionamento in altre aree hi-tech). Oltre a questi macro-comparti, l’analisi mostra come emergano delle verticalità nell’ecosistema start-up, di norma concentrate attorno ai settori tradizionali del “Made in Italy” (rivisitati in chiave hi-tech e digitale) come il Foodtech e il Winetech, il Fashion e il Tessile avanzato (per quanto riguarda sia i materiali intelligenti sia le tecnologie produttive all’avanguardia) e il Turismo digitale. Sempre più spesso si assiste alla nascita di realtà ad altissimo potenziale in ambito Life Science e, con frequenza minore, nel Cleantech & Energy.
Il Nord continua a rappresentare il centro nevralgico dell’ecosistema, sia in termini di capitali ricevuti (58%) sia di numerosità di start-up finanziate (65%); aumenta il peso percentuale sugli investimenti effettuati dagli attori formali in Sud e Isole, che passa dal 30% del 2014 al 36% del 2015, ma resta complessivamente marginale il numero di start-up finanziate nel Mezzogiorno, segno di un sistema Paese che, anche in quest’ambito, non riesce a fare fronte comune rispetto alla competizione internazionale.
Già, perché intanto il mondo va veloce, e muove volumi importanti. Se si entra infatti nello specifico delle singole realtà e delle singole operazioni di finanziamento, si nota come il sistema italiano delle imprese hi-tech innovative sia ancora fragile e il business segua ancora parametri molti piccoli, lontani dalle grandi operazioni che stanno scrivendo nel mondo la storia del digital. Nella fase di introduzione/finanziamento, 44 start-up hanno ricevuto almeno 1 milione in investimenti da attori formali e informali, con un trend crescente del 25% se confrontato con il 2014. Relativamente alla fase di crescita, sono 67 le start-up con un fatturato superiore a 1 milione nel 2015 (rispetto alle 51 del 2014). Cifre piccole in un mondo dettato dalla competizione globale.
Per quanto riguarda la fase di consolidamento o “exit”, è vero che si rilevano diverse operazioni degne di nota: al 7 ottobre 2016 sono 19 le exit per trade sale (acquisizione da parte di aziende consolidate) o Ipo (quotazione) registrate nell’anno, da paragonarsi alle 25 exit concluse complessivamente nel 2015. Tuttavia, nonostante il consolidamento e la sistematicità riscontrati, la mancata crescita sostanziale nel numero di grandi operazioni di finanziamento, e soprattutto di exit, rappresenta un ulteriore segnale che l’atteso rinascimento – o svolta strutturale dell’ecosistema – non è ancora del tutto arrivato. Le exit infatti costituiscono operazioni essenziali per ripagare gli investimenti dei venture capital e degli investitori informali, così da generare quella fluidità in termini di nascita e consolidamento di start-up e quella liquidità che possano davvero far svoltare l’ecosistema italiano. L’ecosistema mostra in questo ancora la sua relativa giovinezza e forte necessità di crescita dimensionale.
«Complessivamente, con riferimento agli investimenti in start-up hi-tech in Italia e allo stato di salute dell’ecosistema, alla luce delle nostre analisi non è ancora possibile parlare del 2016 come anno di “svolta strutturale”», evidenzia Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio. «Dati alla mano, risulta più corretto parlare di una serie di segnali positivi tangibili che, se sfruttati sinergicamente e amalgamati per mezzo di corretti interventi su tutti i livelli (politico e privato, formale e informale), potranno rappresentare un ulteriore passo in avanti per l’universo delle start-up italiane, inteso come sistema “poroso” e sempre più aperto all’internazionalizzazione e alla commistione con il mondo delle aziende consolidate».
Gli fa eco, sottolineando comunque gli aspetti positivi di questa analisi, Federico Barilli, Segretario Generale di Italia Start-up: «Il ritardo rispetto a sistemi industriali analoghi al nostro, quali Francia e Germania, rimane consistente, ma il recupero è possibile. Siamo allineati con gli obiettivi del Governo, esplicitati nel programma Industria 4.0, di raggiungere 1 miliardo di investimenti in start-up innovative entro il 2020. La leva fiscale, la semplificazione delle procedure, il coinvolgimento del mondo industriale italiano sono alcuni degli strumenti normativi previsti nella Legge di Bilancio che vediamo con favore e che fanno parte di un pacchetto di proposte condiviso di recente con 6 associazioni dell’ecosistema italiano delle start-up e dell’innovazione».
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