Carmelo Barbagallo a: “Le banche locali e di credito cooperativo in prospettiva”
Il difficile governo in banca uic

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Ringrazio la Federazione Raiffeisen dell’Alto Adige per l’invito a partecipare a questo incontro, che cade in una fase delicata per il sistema bancario italiano: concluso l’esercizio di valutazione approfondita e avviato il Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU), si definiscono ora concretamente i tratti del nuovo modello di supervisione bancaria europea ed emergono necessità di cambiamento legate al nuovo contesto e all’integrazione fra i sistemi nazionali.

Le esigenze di cambiamento riguardano tutte le componenti del sistema bancario italiano e assumono specifica rilevanza per le banche locali che, rappresentate in ampia misura dalle banche di credito cooperativo, svolgono una funzione essenziale per l’economia del nostro paese, grazie al ruolo di sostegno dei territori di riferimento.

Nel mio intervento mi soffermerò dapprima sulle principali difficoltà che il prolungarsi della crisi sta comportando per le banche locali, per effetto di debolezze sia congiunturali sia strutturali; svolgerò quindi alcune considerazioni sulle profonde innovazioni in atto nell’assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria e sull’impulso che ne deriva, in particolare per il sistema del credito cooperativo, a intraprendere un percorso di riforma.

1. Le banche locali e di credito cooperativo: recenti sviluppi e aspetti di criticità

1.1 Caratteristiche distintive delle banche locali sono lo svolgimento dell’attività in ambiti territoriali circoscritti, le dimensioni operative contenute, la specializzazione nel finanziamento delle famiglie e delle imprese di minori dimensioni. Tali connotazioni sono tradizionalmente presenti nelle banche di matrice cooperativa.

Esse occupano una posizione di rilievo nel sistema bancario nazionale. Alle banche locali è riconducibile circa un quarto degli sportelli operanti nel paese e una quota di attività intorno al 14 per cento. Alle BCC fa capo circa il 15 per cento degli sportelli e intorno al 6 per cento dell’attivo complessivo del sistema.

Le banche locali costituiscono la componente prevalente delle banche italiane less significant (LSI), ovvero degli intermediari che, nell’ambito del MVU, restano assoggettati alla supervisione diretta della Banca d’Italia, pur prevedendosi un ruolo di sorveglianza della BCE. Delle 530 LSI italiane, circa il 90 per cento è rappresentato da banche locali e oltre il 70 per cento

da BCC. La componente italiana less significant è la terza dell’area dell’euro (16 per cento del totale), dopo Germania e Austria. Ai tre paesi è riconducibile complessivamente l’80 per cento delle LSI; caratteristica comune è l’ampia prevalenza delle banche cooperative, piccole popolari e BCC.

Nell’ultimo triennio, le tensioni sui mercati finanziari e la lunga fase congiunturale sfavorevole hanno posto le banche locali di fronte a sfide non meno difficili di quelle affrontate dalle banche più grandi. Il processo di contrazione numerica delle banche del territorio, in atto da tempo, ha registrato un’accelerazione. Per il sistema del credito cooperativo la riduzione è particolarmente evidente. Se alla fine del 2011 si contavano 411 BCC, le operazioni di aggregazione, finalizzate a risolvere situazioni di problematicità che la fase recessiva ha aggravato, ne hanno ridotto il numero fino a 376 dello scorso dicembre.

1.2 L’aspetto di maggiore vulnerabilità delle banche locali è rappresentato dal marcato deterioramento della qualità dei prestiti, per effetto, innanzitutto, di due pesanti recessioni dell’economia, ma anche di scelte gestionali e allocative rappresentative di un rapporto a volte non equilibrato con il territorio di insediamento. Ciò in primo luogo a causa del materializzarsi del rischio di “cattura”: il legame con il territorio, che teoricamente dovrebbe generare vantaggi informativi in grado di migliorare la selezione del merito di credito, può viceversa comportare condizionamenti tali da compromettere l’oggettività e l’imparzialità delle decisioni di finanziamento. Si registra , inoltre, il tentativo in diversi casi di compensare le difficoltà reddituali attraverso la diversificazione dell’operatività in aree territoriali meno conosciute, perseguita mediante la concessione di crediti a controparti di dimensioni più elevate, poco note e poco meritevoli. L’esperienza della Vigilanza dimostra che l’uno o l’altro di questi effetti o, nei casi più gravi la somma dei due, sono alla base della maggior parte delle crisi delle banche di piccola dimensione.

Nelle BCC l’incidenza dei crediti anomali sul totale dei prestiti è salita dal 10 al 17,5 per cento tra giugno 2011 e giugno 2014. L’accelerazione ha riguardato principalmente le sofferenze, più che raddoppiate (dal 4 al 8,4 per cento). La rischiosità dei prestiti delle banche locali, in passato più contenuta nel confronto con le altre banche, ha raggiunto livelli più elevati di quelli relativi all’intero sistema bancario (16,8 per cento), sostanzialmente allineati a quelli delle banche oggetto della recente verifica approfondita degli attivi da parte della BCE (17,4 per cento).

Negli ultimi mesi, il tasso di passaggio a sofferenza, in attenuazione sia per le banche significant, vigilate direttamente dalla BCE, sia per le altre banche less significant, è invece aumentato ulteriormente per le BCC (dal 3,6 per cento di dicembre 2013 al 3,9 per cento).

Nelle BCC, il tasso di copertura delle partite deteriorate, pur essendo cresciuto nell’ultimo triennio dal 23,5 al 33,2, è ancora molto lontano dai valori delle altre banche (42,4 per cento per il sistema nazionale, 43,4 per le banche significative, 48 per i gruppi bancari più grandi). Non si intendono qui trascurare le ragioni per le quali il tasso di copertura delle banche locali può essere, correttamente, più basso (più ampia presenza di garanzie; minore incidenza dei crediti in sofferenza, connotati da un più alto coverage), ma l’esperienza dimostra che, pur in presenza di garanzie che in astratto hanno una qualità elevata, è difficoltoso escuterle, in tempi accettabili e a prezzi congrui. Oltre a rappresentare un rischio per la stabilità, il basso livello di copertura condiziona la possibilità di realizzare operazioni di smobilizzo dei crediti deteriorati, liberando risorse per la crescita.

Per le BCC, solo nell’ultimo anno si è assistito a una lieve ripresa dei prestiti totali, mentre è proseguita la contrazione dei crediti alle imprese. Nei dodici mesi terminanti a novembre, il credito alle imprese si è ridotto a un tasso annuo dello 0,8 per cento (-2,5 per cento per il totale del sistema; -2,3 per cento per le banche significative)

1.3 L’aumento della rischiosità del credito e la riduzione dei flussi di finanziamento assumono particolare rilevanza per le banche locali, caratterizzate da modelli di operatività che più che negli altri intermediari dipendono dai ricavi dell’attività di erogazione dei prestiti e dall’andamento delle economie di riferimento. Tuttavia, lo scenario di crisi le ha colte in molti casi impreparate, non in grado di contrastare le vulnerabilità strutturali con appropriate risposte operative, capaci di mantenere nel tempo adeguati livelli di redditività. Negli ultimi due anni i conti economici sono stati sostenuti prevalentemente con i proventi derivanti dalla gestione dei portafogli di titoli di Stato. Nelle BCC, a giugno scorso, i proventi del comparto titoli hanno rappresentato oltre il 60 per cento del risultato lordo di gestione. E’ mancata la capacità di innovare il modello di attività e di diversificare i ricavi, perseguendo l’ampliamento e l’arricchimento qualitativo dell’offerta di prodotti e servizi, attraverso lo sfruttamento delle potenzialità insite nei legami intensi e di lungo periodo con la clientela.

La maggiore vulnerabilità reddituale delle banche locali dipende dalla rigidità della struttura dei costi. Per le BCC, l’appartenenza a un network e il supporto offerto dalle strutture federative non sembrano aver costituito, specie negli ultimi anni, un vantaggio competitivo. Anche per effetto dei ritardi nella razionalizzazione e nell’ammodernamento delle reti distributive, i costi operativi

hanno continuato ad aumentare per tutto il triennio, in controtendenza con gli intermediari significativi e le altre banche meno rilevanti. Ancora a giugno scorso, l’aggregato risultava in crescita del 2,6 per cento.

La maggiore rigidità dei costi si riflette sugli indicatori di efficienza e produttività. Quanto agli indicatori di efficienza, a prima vista il rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione delle BCC risulta favorevole rispetto alla media nazionale (51,7 contro 60 per cento). Tuttavia, tale indicatore non deriva da interventi incisivi sulla struttura dei costi, ma dal forte contributo dei ricavi del comparto titoli, pari a circa il doppio di quelli delle altre banche in rapporto al margine di intermediazione. Tali ricavi non hanno carattere strutturale. La situazione è più evidente dal lato della produttività; l’incidenza di impieghi e raccolta sul numero di sportelli si è infatti mantenuta costantemente inferiore nell’ultimo triennio ai valori sia delle banche significative sia degli altri intermediari meno rilevanti.

Il livello e la qualità del patrimonio delle banche locali restano più elevati della media nazionale. Sulla base dei dati di giugno 2014, il coefficiente relativo al capitale di migliore qualità delle BCC (Common equity tier1 ratio) era pari al 15,6 per cento, un dato superiore alla media del sistema bancario italiano (12 per cento) e a quella delle banche significative (11,5 per cento). Tali dati vanno letti tuttavia in un’ottica prospettica, nella quale le debolezze strutturali del processo di formazione del reddito, il deterioramento nella qualità degli attivi e la necessità di allineare i tassi di copertura a valori più vicini alle medie nazionali potrebbero determinare un sensibile indebolimento delle condizioni patrimoniali, con effetti rilevanti per una fascia di intermediari più fragili.

Sulla base di analisi sui dati di giugno 2014, emergono circa 70 BCC che presentano contemporaneamente coefficienti di capitale più bassi (common equity tier1 ratio minori del 13 per cento, valore rappresentativo del primo quartile della distribuzione) e tassi di copertura inferiori a quelli delle banche oggetto dell’asset quality review della BCE. Specie per tali intermediari, che rappresentano circa il 30 per cento dei fondi intermediati dalla categoria, l’avvicinamento dei coverage ratios ai livelli del campione di banche sottoposte allo scrutinio della BCE potrebbe determinare situazioni di tensione patrimoniale. Vi rientrano per circa un quinto anche BCC di dimensioni relativamente elevate (attivi superiori a 1,5 mld di euro).

A fronte di situazioni di tensione patrimoniale, la forma giuridica cooperativa impedisce di reperire tempestivamente il capitale necessario a fronteggiare i livelli di rischio assunti. La rete di

protezione della categoria, inoltre, potrebbe difficilmente sostenere situazioni problematiche riguardanti le banche “protette” di dimensioni più elevata.

1.4 Nel passaggio difficile dell’ultimo triennio, le Casse Raiffeisen hanno mantenuto tratti relativamente migliori rispetto al resto del sistema, riflesso di un quadro congiunturale meno sfavorevole nel confronto con altre aree del Paese e di un modello organizzativo più integrato all’interno del sottosistema provinciale.

Nell’ultimo triennio, il peso delle partite deteriorate sugli impieghi è rimasto stabile su livelli inferiori al 10 per cento; quello delle sofferenze non ha superato il 3,5 per cento.

Nonostante gli svantaggi in termini di efficienza e produttività legati alle dimensioni aziendali più contenute, la minore rischiosità dei prestiti ha consentito di preservare la capacità di reddito delle Raiffeisen. I livelli patrimoniali si sono mantenuti per tutto il periodo costantemente superiori a quelli medi della categoria; a giugno 2014 il CET1 ratio era pari al 18,7 per cento.

Anche per il sistema Raiffeisen si impone tuttavia l’urgenza di adeguare i tassi di copertura dei crediti deteriorati, sensibilmente più bassi anche rispetto alle medie della categoria (29,8 per cento alla fine del primo semestre del 2014).

1.5 In sintesi, le banche locali italiane e, in particolare, le BCC si presentano all’avvio del MVU connotate da debolezze di natura sia strutturale sia congiunturale. Sul piano tecnico, esse devono fronteggiare tre principali criticità: la rischiosità del credito, in considerazione dell’elevata incidenza delle partite deteriorate e del basso livello di copertura delle stesse; la debolezza della redditività; i vincoli a una rapida ricapitalizzazione connessi con l’organizzazione cooperativa in un contesto di elevata frammentazione. Sul piano strategico e gestionale, rilevano le esigenze di ammodernamento e innovazione del modello di servizio e, conseguentemente, di adeguamento delle professionalità.

La capacità di risposta delle banche del territorio appare tuttavia limitata, anche a causa delle debolezze presenti negli assetti di governance. La Banca d’Italia le sottolinea da lungo tempo: (i) scarsa dialettica all’interno dei board e assenza di effettivi contrappesi alle figure apicali, a causa di fattori che limitano la funzionalità degli organi, quali le competenze non adeguate e non abbastanza diversificate, il limitato ricambio, anche generazionale, degli esponenti, il numero elevato di membri; (ii) presenza frequente di conflitti di interesse, cui non corrisponde l’attivazione

di efficaci processi interni di prevenzione e gestione; (iii) carenze dei meccanismi di pianificazione, che si riflettono in ritardi e scarsa lungimiranza delle scelte strategiche; (iv) debolezze nell’assetto dei controlli interni che, in assenza di adeguate risorse e professionalità, determinano il disallineamento dell’attività della banca rispetto alle strategie e alle politiche aziendali e ai canoni di sana e prudente gestione. Sempre più spesso tali disfunzioni sfociano in situazioni di dissesto.

Ciò nondimeno, l’esame delle autovalutazioni condotte dalle banche locali continua a evidenziare in numerosi casi una consapevolezza ancora ridotta nei vertici aziendali riguardo alla necessità di migliorare in maniera sostanziale i meccanismi di governo interno.

Un ulteriore aspetto di attenzione è rappresentato dalla qualità e dalla trasparenza del rapporto tra il management delle banche locali, specie cooperative, e le basi sociali. In un contesto che richiede scelte strategiche e gestionali accorte e lungimiranti, riguardanti talora la necessità di considerare operazioni straordinarie, non sempre il management mostra capacità di promuovere il coinvolgimento consapevole dei soci e di neutralizzare conflittualità e inopportuni campanilismi.

2. L’evoluzione in atto nell’assetto normativo e istituzionale di vigilanza

2.1 Nell’Unione europea, in particolare nell’area dell’euro, la riforma delle regole prudenziali e i nuovi assetti istituzionali di vigilanza confermano, anzi rafforzano, la centralità del patrimonio come primo presidio di una sana e prudente gestione.

Sono riconosciute le specificità degli intermediari di minori dimensioni, costituiti in forma cooperativa; le disposizioni del regolamento prudenziale per le banche (CRR) attribuiscono specifico rilievo a configurazioni di gruppo basate sull’affiliazione di più banche a un “organismo centrale” dotato di funzioni di coordinamento e controllo. In presenza di accordi di garanzia volti a sostenere la situazione finanziaria delle singole entità e del gruppo nel suo insieme, la disciplina prevede l’applicazione di requisiti prudenziali a livello consolidato e l’esenzione dai requisiti a livello individuale per le banche che vi appartengono. Anche alle banche che partecipano a un sistema di tutela istituzionale (cosiddetto IPS – institutional protection scheme), che non dà luogo a un gruppo ma si fonda sul sostegno patrimoniale e di liquidità fra le banche aderenti, possono essere riconosciuti taluni benefici regolamentari, mentre è escluso l’esercizio della vigilanza a livello consolidato sull’intero sistema.

La Banca d’Italia ha mostrato attenzione per le specificità delle BCC: la possibilità di costituire IPS riconosciuti a fini prudenziali è stata ammessa nel 2006, confermata nel 2014 nell’esercizio di una discrezionalità nazionale prevista dal regolamento CRR, ulteriormente valorizzata in occasione dell’ultima revisione della disciplina di vigilanza delle obbligazioni bancarie garantite (covered bond).

Il testo dell’articolato legislativo che reca modifiche al TUB per adeguarlo alle novità introdotte dalla direttiva CRD IV – di recente approvato dal Consiglio dei Ministri – contempla specifiche previsioni che attribuiscono alla Banca d’Italia poteri regolamentari finalizzati ad assicurare che le azioni dei soci di BCC continuino ad essere computate nel capitale di qualità primaria della banca, anche nel nuovo e più stringente framework europeo sui requisiti degli strumenti di CET1. Tale previsione, che poggia su uno specifico criterio di delega nella legge comunitaria, testimonia la persistente attenzione delle autorità alle specificità della cooperazione di credito.

Il processo di riforma delle regole prudenziali internazionali prosegue. Il Comitato di Basilea ha in programma, fra l’altro, la revisione del metodo standardizzato per il rischio di credito. La ponderazione delle esposizioni sovrane sarà riconsiderata valutando diverse opzioni, ma è comunque da attendersi un trattamento maggiormente corrispondente all’effettiva rischiosità dimostrata da questa classe di attivi negli anni della crisi. La qualità del portafoglio crediti e i livelli di capitale assumeranno importanza crescente per il calcolo dei requisiti di capitale a fronte delle esposizioni tra banche. In ambito europeo, l’EBA introdurrà definizioni armonizzate di default a fini prudenziali.

2.2 Sostenuto dall’armonizzazione delle regole, il MVU è stato creato con l’obiettivo di attenuare le distorsioni ascrivibili ad approcci di supervisione eterogenei e di accrescere l’integrazione dei mercati finanziari nell’area euro. Esso nasce come “sistema” fra la BCE e le autorità nazionali ed è fondato sulla partecipazione essenziale di queste ultime per la vigilanza sia sui maggiori intermediari dell’area sia sulle banche di minori dimensioni.

La supervisione di queste ultime continua a far capo alle autorità nazionali sulla base di standard condivisi. L’assetto organizzativo decentrato valorizza l’esperienza, le capacità e le risorse delle autorità nazionali; la prossimità con i soggetti vigilati permette un migliore confronto e una più tempestiva acquisizione delle informazioni. La BCE ha tuttavia il potere di avocare a sé la supervisione su qualsiasi banca less significant. L’attenzione della BCE – in qualità di supervisore

indiretto – si concentrerà principalmente sui soggetti che si distinguono per dimensione, rischiosità e impatto sistemico in caso di crisi (cd. high priority LSI).

Nei confronti dei restanti intermediari less significant, la BCE eserciterà un’attività di sorveglianza meno intensa che, tuttavia, sarà accompagnata da un dialogo costante con le autorità di vigilanza nazionali, al fine di perseguire l’armonizzazione delle prassi di supervisione e l’omogeneità dei risultati. In tale ottica, potranno essere avviati approfondimenti settoriali e indagini tematiche volti a evidenziare fattori di debolezza comuni a determinati insiemi di banche e a individuare le azioni correttive da richiedere agli intermediari. Per le banche locali italiane, i fattori di criticità che ho già richiamato – debole redditività, elevata rischiosità creditizia associata a bassi livelli di copertura dei crediti deteriorati, vincoli a una rapida ricapitalizzazione – potrebbero comportare valutazioni negative e richieste di pronte iniziative correttive.

2.3 Dal 1° gennaio 2016 il Meccanismo unico di vigilanza sarà affiancato da un unico Meccanismo di risoluzione (MRU), cui spetterà la responsabilità per la gestione delle crisi bancarie nell’intera area. Il Meccanismo di risoluzione prevede un fondo alimentato da tutte le banche dell’area e un Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board) a cui saranno affidate le decisioni sull’avvio della risoluzione e sulla gestione delle relative procedure, ivi incluse le decisioni sull’uso delle risorse del fondo.

Come il MVU poggia su un insieme di regole prudenziali armonizzate, così il MRU presuppone gli strumenti di gestione delle crisi e i regimi nazionali armonizzati previsti dalla direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (cosiddetta BRRD – Banking Recovery and Resolution Directive). Si tratta di strumenti e regole che mirano a prevenire il deterioramento delle situazioni di difficoltà fin dalle loro prime manifestazioni (early intervention) e a pianificare la gestione e risoluzione delle crisi nell’ottica di minimizzarne gli oneri per risparmiatori e contribuenti e le conseguenze negative per la stabilità finanziaria. Il trasferimento, a certe condizioni, degli oneri delle crisi al fondo finanziato dalle banche eviterà che si ripeta l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche; la graduale mutualizzazione delle risorse del fondo contribuirà a recidere il legame tra le condizioni degli Stati e quelle delle banche, favorendo così l’integrazione dell’area.

Il recepimento della BRRD nell’ordinamento nazionale è destinato a incidere profondamente sulle modalità di gestione delle crisi, sia per le banche significative sia per le altre, attraverso l’introduzione di una serie di strumenti di risoluzione, alcuni dei quali molto innovativi per il nostro ordinamento.

Fra tali strumenti la direttiva BRRD prevede il cosiddetto bail-in, ovverosia il coinvolgimento dei creditori nelle perdite mediante la cancellazione, almeno parziale, del credito ovvero la sua conversione in capitale. Il bail-in – che potrà essere attivato, a certe condizioni, dal 2016 – si applica, in linea di principio, anche nei confronti delle banche di piccole dimensioni e operanti in ambito locale, ancorché la sua applicazione in concreto sia meno probabile considerato che le dimensioni ridotte e le caratteristiche operative di tali banche potrebbero portare a escludere, nei singoli casi, l’esistenza di un rilevante interesse pubblico.

La decisione di avviare la risoluzione di una banca sarà presa sulla scorta di valutazioni, assunte in cooperazione fra il Comitato di risoluzione e il MVU, circa l’esistenza di tre presupposti: oltre all’interesse pubblico – che è però escluso quando l’ordinaria procedura di liquidazione consente di risolvere ordinatamente la crisi – anche il dissesto o rischio di dissesto della banca e l’assenza di soluzioni alternative, siano esse interventi del settore privato o azioni di vigilanza. La valutazione della condizione di dissesto o rischio di dissesto spetterà alla BCE per tutte le banche, incluse le less significant.

Tutte le banche, incluse quelle di minori dimensioni, saranno interessate da novità rilevanti per quanto riguarda i piani di risanamento e i piani di risoluzione, pur essendo previsti alcuni criteri di proporzionalità.

In particolare, tutte le banche dovranno redigere e aggiornare i piani di risanamento, contenenti le misure da adottare per riequilibrare la situazione patrimoniale e finanziaria in caso di suo significativo deterioramento. I piani saranno esaminati e approvati dalle autorità di vigilanza competenti, che potranno chiederne la revisione ove li giudichino inadeguati. Per le banche aderenti a un IPS riconosciuto potranno essere consentite semplificazioni fino all’esenzione dall’obbligo di predisporre il piano, purché esso sia presentato dall’IPS in cooperazione con la banca interessata.

I piani di risoluzione, che saranno predisposti dall’autorità di risoluzione in cooperazione con le autorità di vigilanza, sono volti a individuare le azioni da porre in essere ove sia necessario avviare una procedura di risoluzione di una banca in crisi. Il piano include la valutazione di risolvibilità, intesa come la possibilità di gestire ordinatamente la crisi senza ricorrere a interventi pubblici straordinari o della Banca centrale. Per rimuovere gli ostacoli alla risolvibilità, le autorità di risoluzione disporranno di poteri incisivi, tra i quali la possibilità di limitare o far cessare lo svolgimento di alcune attività, di vietare lo sviluppo di nuove linee di business, di chiedere modifiche della struttura legale e operativa dei gruppi per ridurne la complessità e per isolare e separare le funzioni critiche svolte dall’intermediario.

Oltre al MVU, già operativo, e al MRU, che entrerà a regime il prossimo anno, il progetto dell’Unione Bancaria prevede anche uno schema comune di assicurazione dei depositi. Divisioni politiche nell’Unione hanno finora impedito di attuare questa parte del progetto. Tuttavia, con il recepimento della nuova direttiva sui sistemi di assicurazione dei depositi (cosiddetta DGS – Deposit Guarantee Schemes) saranno introdotte novità importanti per quanto riguarda i modi di funzionamento degli schemi nazionali.

Il nuovo quadro normativo della gestione delle crisi offrirà, quindi, strumenti nuovi e più efficaci per preservare gli interessi pubblici coinvolti nelle crisi bancarie. Anche alle BCC si impone una riflessione sugli impatti delle novità normative e sull’adeguatezza degli strumenti esistenti.

La Banca d’Italia ha condiviso l’iniziativa della Federazione nazionale delle BCC volta a introdurre nel TUB una nuova categoria di azioni di finanziamento, computabili nel capitale di migliore qualità, sottoscrivibili dal Fondo di assicurazione dei depositanti o dai fondi mutualistici in caso di crisi di singole aziende. Lo strumento può essere utile per agevolare la risoluzione di alcune situazioni di difficoltà ma, da solo, non è sufficiente a soddisfare le esigenze di capitalizzazione del sistema delle BCC nel suo complesso e nelle sue componenti più fragili e potrebbe risultare condizionato dalla vigente normativa europea sugli aiuti di Stato alla ricapitalizzazione delle banche.

3 Il confronto con le esperienze estere

Nella nuova prospettiva imposta dall’evoluzione normativa e istituzionale europea, tutte le banche sono chiamate a riflettere sulle proprie scelte in materia di modelli di business, strategie e assetti organizzativi.

Per il credito cooperativo si impone il confronto con i modelli organizzativi adottati dagli altri sistemi cooperativi europei, accomunati da un livello di integrazione notevolmente più elevato. Si possono in particolare riconoscere due “modelli”, con caratteristiche diverse ma in parte sovrapponibili.

Il primo modello, più frequente, è quello del “gruppo”, declinato con istituti giuridici compatibili con le specificità della forma societaria cooperativa. Il modello si ritrova, ad esempio, in Francia, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia. Al vertice del gruppo è, nelle diverse esperienze, una

società per azioni oppure una cooperativa, di norma partecipata in misura più o meno ampia dalle stesse cooperative appartenenti al gruppo, spesso quotata e quindi capace di accedere a un ampio mercato dei capitali. La capogruppo svolge anche le funzioni di istituto centrale della categoria, e quindi fra l’altro gestisce la liquidità del gruppo, monitora la situazione delle sue componenti, ne influenza il profilo di rischio. Stanti i limiti alle partecipazioni e al diritto di voto di un singolo socio in una cooperativa, il potere di direzione e coordinamento della capogruppo sulle banche controllate, che include il potere della prima di “supervisionare” le seconde, è il prodotto di accordi contrattuali (“patti di dominio”) e non di controllo azionario.

Il secondo modello, quello del sistema di tutela istituzionale (o IPS), si ritrova tradizionalmente tra le Casse Reiffeisen in Germania e in Austria ma recentemente è stato adottato anche dalle Casse Rurali in Spagna (dove l’IPS si aggiunge alla struttura di gruppo). L’IPS è istituito sulla base di un accordo contrattuale (o di specifiche previsioni di legge) per garantire la liquidità e la solvibilità delle banche partecipanti al fine di evitarne il fallimento. L’autorità di vigilanza può riconoscere a tali sistemi effetti prudenziali purché siano soddisfatte condizioni, quali la capacità di fornire sostegno finanziario con fondi prontamente disponibili (quindi prevalentemente finanziati ex ante) e la disponibilità di adeguati strumenti per il monitoraggio e la classificazione dei rischi con corrispondenti possibilità di intervento.

L’IPS, essendo una forma di integrazione più debole rispetto al gruppo, potrebbe rivelarsi non del tutto capace di sostenere le esigenze di ricapitalizzazione delle banche che vi partecipano, soprattutto quando interessino una parte significativa del sistema. Allo scopo, appaiono più adeguate quelle forme di integrazione che valorizzano congiuntamente l’appartenenza a gruppi bancari e il mantenimento della forma cooperativa.

E’ bene notare che, nella maggior parte dei Paesi europei in cui le banche cooperative sono unite in sistema, nell’una o nell’altra forma, la coesione è rafforzata dall’obbligatoria adesione ai sistemi della specie. Ciò, lungi dall’essere percepito come un’indebita compressione dell’autonomia delle singole aziende, è al contrario considerato un essenziale presidio della mutualità. L’appartenenza a più ampi gruppi o sistemi d’imprese non altera le connotazioni e le finalità mutualistiche delle cooperative aderenti; rafforzando la coesione e la capacità di patrimonializzazione delle aderenti, previene situazioni di vulnerabilità individuale; quando queste si verificano, preserva il valore aziendale e la capacità del sistema bancario cooperativo di assolvere la propria funzione senza essere assorbito dal settore delle banche costituite in forma di società di capitali.

4. Conclusioni

Il contesto economico difficile, l’evoluzione della regolamentazione, la nuova dimensione europea della supervisione bancaria richiedono alle banche italiane di intraprendere un percorso di cambiamento.

Agli intermediari sono richiesti livelli di capitale più elevati per fronteggiare i rischi derivanti dal deterioramento dei crediti, per sostenere l’erogazione di nuovo credito necessario per l’economia, per proteggere i risparmiatori da perdite in caso di crisi, per mantenere la fiducia dei mercati e del pubblico in un contesto europeo più integrato e più competitivo.

La forma cooperativa, nel modello adottato in Italia, rende tuttavia difficile la ricapitalizzazione. Per rafforzare la stabilità del sistema, di recente il Governo ha definito misure volte rimuovere alcune criticità della disciplina delle banche popolari, di ostacolo al raggiungimento di livelli di capitalizzazione adeguati ai rischi.

Per quanto riguarda il credito cooperativo, considerati i limiti alla detenzione delle quote e il voto capitario, la crescita del patrimonio è stata finora conseguita attraverso la capitalizzazione degli utili, canale che potrebbe ora essere insufficiente. In situazioni di crisi, i limiti legali uniti alla scarsa o nulla integrazione delle singole aziende in un sistema, limitano le soluzioni disponibili per preservare il valore aziendale e possono rendere inevitabile, nell’interesse dei risparmiatori e a tutela della stabilità finanziaria, l’aggregazione in banche di altra categoria.

Nell’area dell’euro, l’applicazione di standard di vigilanza omogenei per tutte le banche, ivi comprese le piccole banche cooperative, determinerà una crescente pressione verso livelli di capitale e soluzioni organizzative caratterizzati da elevata coesione.

L’integrazione è un obiettivo non più rinviabile per le BCC italiane. Occorre individuare soluzioni che favoriscano un assetto del sistema meno frammentato e meglio strutturato, capace di superare gli svantaggi della piccola dimensione ma allo stesso tempo di preservare i valori della cooperazione e della prossimità con il territorio che da sempre costituiscono il punto di forza delle banche locali.

Il progetto di riconoscimento a fini prudenziali del Fondo di Garanzia Istituzionale avrebbe dovuto rappresentare un primo passo nella direzione di una maggiore coesione. La mancata

realizzazione del progetto riflette la complessità dell’iniziativa, ma anche esitazioni e resistenze dinanzi a una prospettiva di cambiamento che comporta limitazioni alla piena autonomia dei partecipanti al sistema.

Oggi, lo schema dell’IPS, pur potenzialmente in grado di favorire una maggiore integrazione del credito cooperativo, rafforzare le leve per orientare in senso virtuoso la gestione delle banche partecipanti e prevenire le crisi, potrebbe non bastare. Affinché il sistema della BCC possa competere in un mercato più integrato e concorrenziale, contribuendo validamente alla ripresa delle economie di riferimento, è necessario un riassetto più incisivo, che consenta di conseguire al più presto l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e la capacità, ove necessario, di reperire risorse patrimoniali anche consistenti in tempi brevi.

Occorre dunque procedere con rapidità a una riforma del sistema che elimini le inefficienze insite nell’attuale configurazione di rete, ponendo le premesse per ridurre i costi operativi, innalzare la professionalità di esponenti aziendali e addetti, accrescere la qualità e la gamma dell’offerta alla clientela, utilizzare al meglio la tecnologia, eliminare gli ostacoli alla raccolta di capitali sul mercato.

La considerazione delle esperienze di altri Paesi europei può ispirare soluzioni volte a preservare il contributo che il sistema delle banche cooperative può continuare a offrire all’economia italiana; alcune potrebbero richiedere interventi normativi. La Banca d’Italia è disponibile, nel rispetto del proprio ruolo, a un confronto sulle diverse opzioni.

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