Causa Fonsai, Ligresti si difende e accusa tutti

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Lo scontro al Tribunale civile di Milano tra nuova Fonsai controllata da Unipol e la famiglia Ligresti sul sequestro di 245 milioni dovrà attendere ancora per la decisione del giudice: il tribunale si è preso del tempo prima di pronunciarsi sulla richiesta di Fonsai di congelare i beni dei Ligresti, come misura precauzionale nell’ambito della più ampia azione di responsabilità che il gruppo assicurativo ha promosso contro gli ex azionisti di controllo. Ma nel procedimento cautelare sono già state schierate le armi: in particolare i Ligresti, chiedendo di considerare la causa «lite temeraria», hanno usato come argomenti forti, secondo la loro impostazione, la «manleva» che doveva proteggere l’ingegnere e i suoi tre figli da eventuali richieste di danni, e l’ormai famoso «papello», cioè il documento firmato da Salvatore Ligresti e siglato «per presa visione» dall’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, con le richieste economiche (45 milioni) e non (auto, segretarie, villaggi vacanze) pretese per lasciare campo libero a Unipol nel gruppo Premafin-Fonsai. Pretese contestate dal legale del gruppo, Franco Bonelli: intanto la manleva non era più in piedi perché sostituita con un’altra votata dalla stessa Premafin; e poi perché «definire contratto il pezzo di carta corrispondente al “papello” è già un’impresa titanica».
Nelle loro memorie, i legali dei Ligresti — Marco Salamone per Salvatore, Luca D’Ambrosio per Jonella, Marco Saverio Spolidoro per Giulia Maria (Paolo non è oggetto della richiesta di sequestro perché all’estero) — hanno utilizzato diversi argomenti. Innanzitutto hanno contestato la linea di Fonsai di non citare anche Mediobanca e Unicredit, cioè le banche che avrebbero «eterodiretto» Fonsai per anni. I due istituti sarebbero state «graziate» e Unipol avrebbe scelto di fare causa solo ad alcuni ex amministratori «accuratamente selezionati per tener fuori alcuni “amici” dal più vasto mazzo di potenziali responsabili, al solo scopo plausibile di “punire esemplarmente” chi si sia caduto in disgrazia dopo aver asseritamente goduto di privilegi che solo ex post (nel caso di specie dopo decenni) chi avrebbe avuto il potere e il dovere di reagire ora denuncia con apparente scandalo». Inoltre citano le nomine di Carlo Ciani e, da ultimo, di Piergiorgio Peluso (sottolineando che è figlio del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri), come indicate e promosse da Mediobanca e Unicredit. Tesi respinte decisamente dalle due banche e anche dallo stesso Peluso nei verbali davanti al tribunale di Torino, sostenendo di essere stato chiamato dallo stesso Ligresti. E citano il patteggiamento di Giulia a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio come esempio di ammissione di responsabilità.
Altro punto in discussione è la manleva. Venne concessa il 29 gennaio 2012 e poi riscritta il 26 giugno dopo che la Consob stabilì che con quella clausola non ci sarebbe stato esonero dall’opa su Premafin e Fonsai. Ma i Ligresti sostengono che quella garanzia è comunque valida, sia perché la Consob «non l’ha mai ritenuta nulla né ha mai imposto che venisse revocata», sia perché secondo i Ligresti sarebbe stata modificata in modo inefficace. Tesi invece contestata da Fonsai, visto che fu la stessa Premafin a concordare con Unipol quelle modifiche.
La difesa dei Ligresti sostiene poi che non serve sequestrare i beni della famiglia, in quanto non solo non si sta tentando di occultarli ma addirittura tra essi andrebbe considerato anche il credito di 45 milioni vantato con il «papello». Ma quel documento non può obbligare Fonsai o Unipol, è la replica della compagnia, né Mediobanca o Unicredit. Come spiegano fonti legali vicine al gruppo, «non è un accordo, ma un promemoria di richieste rivolto a tutti i soggetti citati nella lettera, e dunque non si tratta di una buonuscita ma del prezzo richiesto per la vendita del 30% di Premafin, sulla base però di un’ipotesi di operazione non più attuale all’epoca dei fatti». Insomma, una carta vecchia e senza valore.

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