A suo modo, Totò Schillaci è stato un grande simbolo di riscatto del Sud degli anni ottanta.
Il ragazzo partito dalla Sicilia e consacrato a Messina dal professore Scoglio già in serie C, con la promozione a suon di gol in serie B il 1985-86.
Totò Schillaci, l’outsider di successo
Arrivò come un outsider alla Juventus il 1989. E in quella squadra allenata da Dino Zoff vinse la coppa Italia e la coppa Uefa. Azeglio Vicini lo portò ai mondiali come riserva. C’era un attacco straordinario e lui doveva essere, appunto, una sorta di occasione momentanea.
E invece fu la sua apoteosi. Sei gol in sette partite, capocannoniere e pallone d’oro mancato proprio perché a vincere i mondiali non fummo noi ma la Germania.
Veniva insultato spesso sui campi di calcio Totò, per via di un congiunto che aveva avuto piccoli precedenti penali. La solita solfa di un’inciviltà calcistica che non risparmia nessuno.
Il ragazzo di Sicilia
Ma quel ragazzo di Sicilia, che aveva coronato il sogno di conquistare la maglia più ambita d’Italia e poi di consacrarsi in nazionale, era veramente amato da tutti. Per la sua spontaneità, la sua naturalezza, in un calcio che era già cambiato e diventato business. Il suo essere naturale e sincero lo tenne lontano dallo show negli anni successivi al ritiro. Per fare un paragone musicale era l’ Al Bano del nostro calcio: piaceva più alla gente che ai critici.
Il pianto di Baggio: “Fratelli d’Italia per sempre”
“Ciao mio caro amico, anche stavolta hai voluto sorprendermi. Rimarranno per sempre impressione nel mio cuore le notti magiche di Italia90 vissute insieme. Fratelli d’Italia per sempre”. Con questo post su Instagram e una foto che li ritrae insieme mentre abbracciati festeggiano un gol della Nazionale, Roberto Baggio ha voluto ricordare Schillaci.
L’autodidatta del gol
Ma già nelle categorie inferiori era stata una macchina da gol. Un centravanti fisicamente alla Paolo Rossi, ma meno esile e più esplosivo. Uno che tirava sempre in porta. Negli anni in cui l’esodo verso il nord era ancora più intenso, Schillaci simboleggiava anche retoricamente il successo di un meridione che resisteva a ogni tentazione di resa. Una storia vecchia e appunto intrisa di retorica ma reale.
Non è che la morte renda buone le persone ma Schillaci portava nel volto il segno della sua generosità. E’ stato un autodidatta del gol, non un poeta. Ma è stato il faro dei nostri sogni. E forse anche quella sconfitta, di Napoli, rende più immane le notti magiche inseguendo un gol.