Continua a calare l’inflazione in eurozona
Inflazione

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Guai per Mario Draghi. L’inflazione in eurozona continua a calare, nonostante lo sforzo che il Governatore della BCE ha profuso in questi anni per portare l’inflazione verso il target del 2%. I tassi zero e il Quantitative Easing non sembrano sortire l’effetto sperato, nonostante siano stati importanti per uscire dallo spettro della deflazione in cui era finita l’eurozona prima che Draghi mettesse in campo il bazooka del QE.

A febbraio l’indice dei prezzi al consumo dell’eurozona ha fatto segnare un +1,2% su base annua, in calo dopo il +1,3% di gennaio, il +1,4% di dicembre e il +1,5% di novembre. Il dato è particolarmente significativo per svariati motivi:

In primis, da alcuni anni la BCE sta mettendo in campo misure straordinarie e al limite delle proprie possibilità d’azione in materia di politica monetaria. Misure alcune delle quali stanno volgendo al termine, come il QE, che ha già dimezzato la propria potenza di fuoco (da 60 a 30 miliardi al mese di acquisti di titoli) e che andrà ad esaurirsi definitivamente a settembre.

In seconda battuta, c’è da riscontrare la peculiarità di un’economia che, almeno nei numeri, è in fase di espansione e soprattutto in Paesi chiave come la Germania vedono da ormai parecchi mesi record positivi dal punto di vista occupazionale. Ciò dovrebbe rappresentare una spinta importante per la crescita dei prezzi, come la ben nota Curva di Phillips insegna. Questa correlazione sembra aver perso decisamente di significatività. Molti studiosi stanno difatti analizzando questo fenomeno e ciò che si può notare è che nei fatti un Paese in piena occupazione e espansione come la Germania sta facendo registrare tassi d’inflazione troppo bassi.

Terzo elemento, si viene da ormai mesi di rialzo deciso del prezzo dell’energia, petrolio in primis, cresciuto di oltre il 20% nell’ultimo anno e che al netto del quale il dato sui prezzi sarebbe decisamente più basso.

Tutto ciò non delinea un quadro rassicurante per la BCE. A ciò infatti bisogna aggiungere che gli esperti si aspettano un calo deciso del prezzo del petrolio e di tutti gli energetici, come in parte già si è verificato da inizio anno. Inoltre, l’euro si sta piano piano decisamente rafforzando, basti pensare che nel giro di qualche mese è salito sino a quota 1,25 sul dollaro.

Il perché un’inflazione bassa rappresenti un problema per l’eurozona è molto facile da spiegare: innanzitutto, con un’inflazione bassa, il peso reale del debito risulta maggiore e questo è un problema sia per quei Paesi con un debito pubblico alto come l’Italia, sia per il risanamento di un settore privato eccessivamente indebitato, come la problematica degli NPL’s (non performing loans) dimostra. C’è poi un discorso interno all’eurozona che vede enormi squilibri di competitività che si sono cumulati negli anni tra i diversi Paesi. Per colmare questi gap è necessario che i Paesi più competitivi e in espansione vedano una crescita dei prezzi superiore rispetto ai Paesi in difficoltà e ciò diviene impossibile in una situazione in cui i Paesi più competitivi registrano tassi d’inflazione irrisori, che costringerebbero di conseguenza i Paesi in crisi alla deflazione al fine di colmare il gap.

Come detto, particolarmente significativo è il dato tedesco che nel giorno in cui si registra un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro, con la disoccupazione in calo di altre 22 mila unità, vede l’IAPC (indice armonizzato dei prezzi al consumo) in crescita soltanto dell’1,2% su base annua contro una previsione dell’1,3%, e del +0,5% su base mensile contro una previsione del +0,6%.

In Spagna, Paese in crescita ma con ancora livelli di disoccupazione preoccupanti, l’IAPC su base annua è stato del +1,2% e del +0,1% su base mensile. In Francia si è registrato l’1,4% su base annua e una crescita nulla su base mensile. Infine, in Italia l’IAPC ha toccato addirittura lo 0,7% su base annua e il +0,1% su base mensile, in decisa controtendenza rispetto alle previsioni.

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