Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, avverte che il credit crunch si è esteso ormai anche alle aziende sane e che per sostenere il credito all’economia forse si dovranno rivitalizzare le cartolarizzazioni e si dovrà rivalutare il ruolo del sistema bancario ombra. La Banca d’Italia trasmette i dati di un nuovo, ennesimo, record del debito pubblico sottolineando la parte rilevante dovuta agli aiuti concessi dall’Europa ai Paesi in difficoltà; l’Ocse da Parigi osserva infine come l’Italia rimanga «intrappolata» nella recessione e come sia probabile che la disoccupazione continui ad aumentare mentre il lavoro per i giovani che lo trovano è sempre più precario. Il quadro delle notizie e delle cifre diffuse ieri non aiuta a disegnare le prospettive di una ripresa a breve.
La stretta del credito innanzitutto. Ieri l’Abi ha confermato sia la flessione dei prestiti alle imprese sia l’aumento delle sofferenze cioè dei finanziamenti concessi ma non rimborsati che gravano sui bilanci delle banche che devono farsi carico, sempre secondo l’Associazione presieduta da Antonio Patuelli, di una raccolta a più lungo termine sempre più difficile. Sulla diminuzione degli impieghi, secondo Saccomanni che ieri ha presieduto al ministero dell’Economia un seminario proprio sul tema del credit crunch , incidono fattori di domanda ma anche l’irrigidimento dell’offerta «che risente del peggioramento del merito di credito della clientela e dell’esigenza di consolidamento del patrimonio delle banche». Le tensioni sul mercato del credito «si estendono anche ai contraenti sani» dice però Saccomanni, per il quale per diversificare i canali di finanziamento alle imprese, soprattutto le piccole e medie, alternativi a quelli bancari «dovranno essere rivitalizzate le cartolarizzazioni, anche con un iniziale supporto regolamentare e governativo», bisognerà incentivare l’intervento degli investitori istituzionali e anche accogliere dall’esperienza internazionale altri strumenti come i credit funds , «ovvero quei fondi che erogano credito trasformando scadenze, rischi, liquidità», la cui operatività rientro nello shadow banking . Certo bisognerà intervenire sulla regolamentazione ma «in un momento in cui il credito è in significativa e prolungata contrazione il ruolo del sistema bancario ombra potrebbe rivelarsi di supporto al rilancio dell’economia».
Il record del debito quindi, che a maggio, secondo Bankitalia, è aumentato di 33,4 miliardi rispetto ad aprile, raggiungendo i 2.074,7 miliardi. Nei primi cinque mesi dell’anno il debito è aumentato di 86,1 miliardi di cui quasi 7 miliardi per il sostegno dei paesi dell’eurozona in difficoltà. E cioè la quota di competenza dell’Italia dei prestiti erogati dall’FSF, pari a 4 miliardi e il versamento effettuato in aprile della terza tranche, pari a 2,9 miliardi, per la sottoscrizione del capitale dell’ESM. Tale sostegno complessivamente ha finora raggiunto i 49,5 miliardi. L’Istituto di via Nazionale ha diffuso anche i dati delle entrate tributarie che sono state pari a 30,1 miliardi, in diminuzione del 2,2% su base annua. Nei primi cinque mesi del 2013 sono state invece pari a 143,181 miliardi di euro, in crescita dello 0,7% rispetto allo stesso periodo del 2012.
L’Ocse, infine. Il rapporto sul lavoro di Parigi punta il dito sulla crescita più rapida della media Ue del tasso di disoccupazione complessiva italiana che arriverà al 12,6% alla fine del 2014 dal 12,2% di oggi, ma anche sull’aumento del lavoro precario in particolare fra i giovani, ovviamente fra quelli che un posto l’hanno trovato. Secondo l’ Ocse, a fine 2012 oltre il 35% degli under 25 italiani non aveva un lavoro, e tra quelli che lo avevano il 53% era precario. In ogni caso l’Ocse, così come aveva fatto la scorsa settimana la Banca d’Italia, difende la riforma Fornero e mette in guardia sul fatto che il prepensionamento dei più anziani non aiuta l’occupazione dei più giovani ma aumenta il disagio generale. Il rapporto degli economisti di Parigi conferma poi che gli italiani lavorano di più, cioè dedicano più tempo al lavoro, dei tedeschi ma restano in coda per i salari. Con un salario reale medio annuo di 33.849 dollari in calo dell’1,9% sul 2011, a parità di potere d’acquisto, l’Italia è infatti al ventesimo posto sull’elenco dei 30 Paesi più industrializzati la cui media è di 43,523 dollari. La Germania segnala 42 mila dollari e la Francia 39,600, dati in crescita rispetto al 2011.