Debito pubblico: siamo a 2.100 miliardi
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Spesso sentiamo dire che ogni italiano, appena nato, eredita un macigno sulle spalle che varia a seconda dei periodi storici e che in questo momento si attesta intorno a 35mila euro. Il calcolo che viene eseguito è il seguente. Debito pubblico/popolazione. Quindi se dividiamo 2.100.000.000 per 60.000.000 otteniamo 35mila euro. Secondo questo modo di ragionare ciascun italiano ha un debito pubblico di 35mila euro. Una sorta di onta, di peccato originale con cui convivere fino al giorno in cui la società andrà in paradiso e il debito pubblico non ci sarà più.

Questo ragionamento – che va per la maggiore anche in molti dibattiti televisivi – non corrisponde alla realtà. Per due motivi, estremamente intuitivi e paradossalmente (proprio perché così semplici) non presi in considerazione.

1) il debito di uno Stato non deve essere estinto ma deve essere semplicemente sostenibile e far sì che non produca una mole di interessi eccessiva. Lo dimostra il fatto che ad oggi non ci sono Paesi senza un debito pubblico;

2) ogni debito di qualcuno è il credito di qualcun altro. Non si scappa. Se io ho un mutuo, la banca ha un credito nei miei confronti. Se lo Stato ha un debito, chi detiene quei titoli di Stato non ha un debito ma un credito nei confronti dello Stato. Ebbene, in questo momento il Tesoro ci dice che sono in circolazione titoli di Stato per un controvalore di 1.815 miliardi a fronte di un debito pubblico di 2.089 miliardi (aggiornamento al 30 maggio). Questi 1.815 miliardi sono in mano per circa il 50-60% a banche e assicurazioni italiane, per il 10% a risparmiatori italiani e per la quota restante a investitori non residenti.

Questo significa che banche, assicurazioni, risparmiatori italiani, investitori stranieri non sono in una posizione debitoria nei confronti dello Stato italiano ma hanno un credito e incassano cedole dallo Stato italiano. Quindi il fantomatico italiano che dovrebbe dare 35mila euro allo Stato non solo non deve dargli questi soldi ma, qualora rientri in quel 10% di risparmiatori che hanno investito acquistando titoli di Stato, otterrà a scadenza l’importo investito, maggiorato degli interessi (salvo che lo Stato non dichiari default). Quindi deve ricevere, e non dare, dallo Stato.

E allora perché si parla tanto di debito pubblico? Perché questo genera degli interessi da pagare. Interessi che hanno fatto entrare l’Italia in un circolo vizioso. Dagli anni ’80 – quando c’è stato il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia e la Banca d’Italia non ha più potuto controllare i tassi di interesse, né monetizzare il debito – la quota interessi da pagare è balzata alle stelle (del mercato). Da allora sono stati pagati oltre 3mila miliardi di interessi alla schiera dei creditori del debito pubblico, ben superiori all’attuale mole del debito pubblico. Questo è uno dei principali motivi per cui il debito pubblico negli anni ’80 è decollato, come dimostra questo grafico.

Quindi la storia del neonato italiano che nasce con un peccato originale che oscilla dai 30 ai 35 mila euro non è vera. E’ una storiella. Ciò che è vero è che per pagare gli interessi sul debito pubblico agli investitori (tra 80 e 90 miliardi di euro l’anno) lo Stato – avendo dei vincoli europei sul deficit e quindi sulla capacità massima di spesa – è costretto a reperire le risorse monetarie all’interno della società, prelevandole dai cittadini attraverso un aumento delle tasse o una riduzione della spesa pubblica. L’attuale riduzione dei tassi, e degli interessi nominali da pagare sul nuovo debito, è senz’altro una buona notizia in prospettiva perché dovrebbe consentire allo Stato – qualora decida di rimanere con gli attuali vincoli di bilancio europei senza rinegoziarli – di avere qualche miliardo in più l’anno, o meglio qualche miliardo in meno l’anno da prelevare ai cittadini.

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