E’ difficile cercare chiarezza sul problema delle sofferenze bancarie
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Anche coloro che hanno responsabilità pubbliche nel settore si pronunciano con tale circospezione, e così tanta vaghezza, da far presumere che nessuno abbia ancora le idee sufficientemente chiare.

Secondo il Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, intervenuto giorni fa ad una riunione dell’Abi, il governo propende per una soluzione light: “Cerchiamo misure specifiche di tipo regolatorio che possano facilitare la cessione dei crediti in sofferenza. I tempi riteniamo che debbano essere molto rapidi. Il fatto che pensiamo a una soluzione relativamente leggera vuol dire che i tempi potranno effettivamente essere rapidi”.

Il Governatore Ignazio Visco non è andato oltre gli auspici: “Un intervento diretto dello Stato che, nel rispetto della disciplina europea sulla concorrenza, favorisca lo sviluppo di un mercato secondario di queste attività potrebbe contribuire a liberare risorse di cui beneficerebbero in primo luogo le imprese”.

Il Presidente della Consob Giuseppe Vegas è stato appena più esplicito, prospettando soluzioni assai impervie:“Per affrontare il problema delle sofferenze bancarie è quindi necessario individuare forme alternative rispetto a quelle sperimentate in altri Paesi europei, con un più forte coinvolgimento del settore privato. In questa fase congiunturale ancora incerta, e alla luce della crisi di fiducia che impedisce una ripresa del mercato delle cartolarizzazioni, la presenza di una garanzia pubblica potrebbe essere un elemento decisivo al fine di indurre investitori privati a sottoscrivere passività emesse da un veicolo societario specializzato nell’investimento in crediti deteriorati.

Al fine di limitare gli effetti di tale garanzia sulla crescita del debito, si potrebbero valutare forme tecniche compatibili con i vincoli di finanza pubblica, prevedendo la garanzia solo per alcune tipologie di titoli emessi dal veicolo (ad esempio, le tranche più rischiose). La garanzia pubblica potrebbe inoltre rendere tali strumenti finanziari idonei ad essere oggetto del programma di acquisto di titoli cartolarizzati da parte della BCE”.
Neppure Palazzo Chigi giungono segnali precisi: non basta una riunione, pur tra esperti, per risolvere una questione così complessa.

Le uniche certezze riguardano le ipotesi non praticabili. Un intervento statale diretto, sulla falsariga di quelli compiuti in Germania, Francia, Austria e Gran Bretagna nel 2009 a favore dei rispettivi sistemi bancari, non è più ammissibile per via della nuova disciplina europea in materia di aiuti di Stato al settore finanziario. Alla procedura di bail-in, il salvataggio interamente a carico del settore pubblico, è subentrato il bail-out: gli azionisti, i detentori di determinate categorie di obbligazioni senior e financo i depositanti oltre i 100 mila euro devono partecipare all’operazione di risanamento. Ne abbiamo visto un esempio a Cipro. In secondo luogo, non viene ritenuta ammissibile neppure la soluzione spagnola, che prevede un intervento finanziario da parte del Fondo salva Stati, l’ESM, l’istituzione di un soggetto a latere della Banca centrale nazionale che sorveglia l’intero processo (FROB – Fondo resolution ordenada bancaria) e di di una vera e propria Bad bank che si occupa della acquisizione e dello smaltimento delle sofferenze (SAREB – Sociedad de Gestión de Activos procedentes de la Reestructuración Bancaria).

In questo caso, la ragione è duplice: per un verso, in Spagna si trattava di mettere mano alle sofferenze iscritte nel bilancio di cinque banche che erano già state nazionalizzate per via delle precarie condizioni di stabilità (BFA-Bankia, Banco Catalunya , BNGC Banco-Banco Gallego e Banco de Valencia) e per l’altro lo Stato italiano diverrebbe comunque responsabile della somma fornita dall’ESM, deteriorando il già pessimo rapporto debito pubblico/Pil. Da Palazzo Chigi non arrivano segnali precisi: non basta una riunione di esperti, come pare ci sia stata, per venire a capo di una questione corsì rilevante per l’economia nazionale e la stabilità finanziaria. E’ un ulteriore segno di incertezza.

Siamo reduci da una guerra di sette anni, come ha affermato il Direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi, ma ancora in pochi hanno capito su quali fronti abbiamo definitivamente perso e dove c’è da contrattaccare. Ci si trova a dover affrontare un cambio storico di paradigma, nel finanziamento dell’economia, un mutamento simile a quello che avvenne dopo la crisi petrolifera, nel 1973: da allora in poi, il petrolio non fu mai più a buon mercato, neppure ora che è caduto sotto la soglia dei 50 $ al barile. Dopo la globalizzazione della produzione, il basso costo del lavoro nei Paesi emergenti ci ha tagliato l’erba sotto ai piedi: abbiamo resisitito malamente, delocalizzando.

La crisi finanziaria ha stravolto le relazioni tra capitale di rischio ed indebitamento bancario: una sottocapitalizzazione di circa 200 miliardi di euro. E’ a causa di questa debolezza storica del sistema produttivo italiano, come ha correttamente rilevato ieri Roberto Poli, che la crisi ha esercitato un effetto di leva sulle sofferenze. La unificazione a livello europeo delle regole sulla vigilanza prudenziale riguarda ad un tempo le banche e le imprese, rendendo impraticabile per il futuro il modello imprenditoriale italiano basato sul capitale preso a prestito in banca. Il rapporto tra capitale proprio e finanziamento non tornerà mai più ai livelli pre-2008, così come dopo la crisi petrolifera del 1973 il rapporto di scambio tra manufatti e materie prime fu irrimediabilmente modificato. Così come, da allora, le industrie energivore non furono più alla nostra portata, d’ora in avanti la sottocapitalizzazione delle imprese non sarà più sostenibile.

Ci sono problemi settoriali, ben noti, nel settore dell’edilizia e dell’immobiliare, così come nel commercio dell’auto. C’è una distribuzione dimensionale delle sofferenze aziendali che andrebbe meglio indagata: a settembre scorso, la centrale dei rischi censiva 169 miliardi di sofferenze lorde complessive, riferite ad un milione e duecentomila affidati. Di questi, oltre 758 mila posizioni si riferivano a somme inferiori a 30 mila euro, per un totale di 6 miliardi di euro di sofferenze. All’opposto della piramide debitoria si trovavano 526 affidatari, ciascuno con sofferenze superiori ai 25 milioni di euro, per un totale di 22 miliardi di euro. Altri 4.805 affidati mettono in campo altri 38 miliardi di sofferenze.

E’ ovvio che non si può immaginare che la Bad bank serva per liquidare posizioni singole fino a 30 mila euro: gestire ciascuna procedura costerebbe alla fine più della cancellazione tout-court del credito. Non sappiamo se le aziende per le quali sono aperti i tavoli di crisi al Ministero dello sviluppo economico siano quelle censite per le sofferenze bancarie, ma è assai probabile. Né è chiaro, comparto per comparto, a quale filiera produttiva si riferiscano, dall’agricoltura al turismo, al commercio.

Se c’è tanta incertezza nell’affrontare il tema delle sofferenze bancarie è per una carenza di analisi, fattuale e di contesto, e di strategie. In mare, non c’è mai un buon vento per chi non sa dove andare.

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