Fmi: le banche italiane? Solide

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I nuovi rapporti di forza fra Paesi sviluppati ed economie emergenti, e in particolare le prevedibili conseguenze della fase di uscita degli Usa dal quantitative easing, il programma di acquisti di asset da parte della Federal Reserve, sono al centro delle analisi del Fondo Monetario Internazionale a Washington, alla vigilia dell’assemblea annuale di Fmi e Banca Mondiale prevista per questa settimana.

Ieri, mentre l’attenzione di tutti i partecipanti era concentrata sull’impasse del governo federale americano e sulla nomina di Janet Yellen alla guida della Fed, lo spunto è venuto dalla presentazione del rapporto sulla Global Financial Stability e da quello sul monitoraggio fiscale a livello mondiale. In entrambi i casi non sono mancati riferimenti al quadro italiano, visto nel contesto europeo. In particolare, nel rapporto sulla stabilità è contenuto un forte richiamo al fatto che una grossa parte dei prestiti bancari alle aziende in Spagna, Portogallo e in Italia sono già da considerare vere sofferenze o sono stati concessi ad aziende che non sono in grado di rispettare gli obblighi. Addirittura lo stesso Fmi sostiene che gli imminenti stress test e l’analisi della qualità degli asset bancari che verrà fatta dalla Bce rappresentano «un’occasione d’oro per fare una valutazione comprensiva e trasparente di tutte le banche dell’Eurozona, che potrebbe riportare la fiducia degli investitori sulla qualità dei bilanci stessi». José Vinals, che guida la divisione mercati del Fmi, ha sostenuto in particolare che il sistema creditizio italiano «è stabile e ha la capacità di resistere a eventuali a choc», anche se «esiste una vulnerabilità legata alla debolezza dell’economia». Michael Keen, vice direttore del dipartimento fiscale del Fmi guidato fino ai giorni scorsi da Carlo Cottarelli, che invece diventerà a fine mese commissario della spending review del governo Letta, ha parlato in particolare dell’Iva in Italia, sostenendo che è «fondamentale allargare la base e farla pagare» e quindi non solo combattere l’evasione, ma anche far funzionare la macchina fiscale. Se poi l’Imu venisse abolita, ha sottolineato Keen, dovrebbe essere compensata «con altre entrate e tagli alla spesa». La «normalizzazione monetaria» degli Usa, ha spiegato Vinals, «è senza precedenti e conta sia per gli Stati Uniti che per il resto del mondo». Il Fondo Monetario crede che la Fed attuerà un’exit strategy «graduale», ma avverte che, nel caso improbabile di un blocco repentino delle misure di stimolo, si rischiano perdite per 2.300 miliardi di dollari solo nei portafogli obbligazionari globali. A tale cifra andrebbero poi aggiunte le perdite eventuali registrate nell’azionario, nei mercati valutari e nel settore immobiliare.

Secondo Vinals, sono cinque le principali sfide di questa fase di transizione globale. La prima riguarda gli Usa e il passaggio verso una «normalizzazione monetaria», che potrà riuscire nella misura in cui verrà fatta una «chiara comunicazione delle scelte monetarie» per diminuire i rischi di volatilità e verrà aumentato il monitoraggio delle attività parabancarie, per esempio nel settore dei mutui immobiliari. Nei mercati emergenti, invece, è importante che a fronte di grossi flussi di capitali i Paesi affrontino le loro vulnerabilità interne e mantengano mercati valutari aperti, offrendo eventualmente liquidità. In Eurolandia sono stati fatti molti progressi, «ma il credito resta ancora frenato dalla frammentazione del sistema bancario e dalla peso del debito esistente» a livello corporate, che va analizzato e affrontato in modo comprensivo, anche se potrà pesare sul sistema finanziario. In Giappone, la sfida dell’Abenomics è quella di una piena applicazione del programma di riforme. L’ultima transizione in corso, su scala globale, è quella per migliorare la sicurezza del sistema finanziario attraverso verso una forte e coordinata agenda della regolamentazione. E su quel fronte, compreso il completamento delle discussioni su Basilea 3, «resta ancora molto da fare».

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