Google deve consegnare all’Fbi le mail conservate nei propri server al di fuori degli Stati Uniti
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Lo ha deciso il giudice Thomas Rueter del tribunale di Filadelfia, obbligando quindi di fatto Big G a “sbloccare” una serie di messaggi di posta elettronica a cui i federali dovranno accedere per proseguire con un’indagine in corso su una presunta frode. Il magistrato, riporta Reuters, ha scritto che la consegna del materiale non è classificabile come sequestro e che la procedura non presenta “interferenze significative” con i “diritti di possesso” del titolare dell’account. “Sebbene il recupero di dati elettronici operato da Google dai suoi numerosi data center esteri presenti una potenziale invasione della privacy, la concreta violazione si verifica all’atto della visura” del materiale sul suolo americano, ha sottolineato Rueter.

Si tratta di una decisione che cozza in modo palese con il verdetto emesso nel 2016 da tre giudici della corte d’appello di New York i quali, nel valutare un caso analogo che coinvolgeva però Microsoft, avevano rigettato la richiesta dell’Fbi. I dati si trovavano in un data center di Dublino. Reuters non riporta invece dove sia localizzata la sala macchine di Google coinvolta in questa nuova vicenda.

L’anno scorso i giudici Gerard E. Lynch, Susan L. Carney e Victor A. Bolden avevano fissato un paletto importante, dichiarando che forze dell’ordine e inquirenti non possono basarsi sullo Stored Communications Act del 1986 per costringere un provider a consegnare informazioni oltreoceano. La sentenza finale spetta però alla Corte Suprema, che a breve dovrebbe revisionare le carte. Evidentemente, la corte di Filadelfia ha però seguito un ragionamento diverso.

Logica che a Google, sussidiaria di Alphabet, non è piaciuta. “Il magistrato in questo caso ha deviato rispetto alla linea precedente, abbiamo intenzione di appellare il verdetto. Continueremo a opporci alle ordinanze” di questo genere, ha commentato un portavoce dell’azienda.

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