Il complesso quadro di intrecci giudiziari tra Mediaset e Vivendi sembra giunto all’ultimo chilometro
Il Tribunale di Milano si è preso altri due mesi per decidere le cause del mancato acquisto della pay-tv Mediaset Premium, del mancato contratto di scambio azionario e del tentativo di scalata di Vivendi a Mediaset.
Performance positiva anche per oggi per il titolo Mediaset

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Il Tribunale di Milano si è preso altri due mesi per decidere le cause del mancato acquisto della pay-tv Mediaset Premium, del mancato contratto di scambio azionario e del tentativo di scalata di Vivendi a Mediaset. In ballo, risarcimenti per tre miliardi di euro. Il 4 marzo scade inoltre il termine richiesto dai francesi per gli interrogatori, nel processo penale, del presidente Bolloré e dell’Amministratore delegato, Arnaud de Puyfontaine, per le ipotesi di manipolazione del mercato e ostacolo alle autorità di vigilanza. Le manovre del gruppo francese avrebbero fatto crollare il titolo del Biscione al fine di rastrellarlo in Borsa a prezzi ribassati.

L’Amministratore delegato e vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, è fortemente interessato a presentarsi all’assemblea dei soci, prevista per giugno, con un risultato giuridico che permetta al gruppo milanese l’operazione riassetto aziendale: dopo la fusione con la controllata spagnola prevede la nascita della holding MediaForEurope con sede ad Amsterdam. Un progetto fortemente osteggiato dai francesi di Vivendi che hanno da anni avviato una guerra a colpi di ricorsi per contestare la decisione dell’Assemblea del 2019, quando per il sì si espresse il 78 per cento dei presenti contro il 21 per cento.

Da quanto emerso dall’udienza del Tribunale di Milano (cinque ore di dibattito a porte chiuse ma in presenza degli avvocati) emerge che Mediaset ha ribadito la richiesta di circa 3 miliardi di danni, contestando al gruppo francese la disdetta unilaterale degli accordi siglati nell’aprile 2026 per vendita di Premium e dello scambio azionario, nonché il successivo tentativo dei francesi di scalata ostile che ha portato Vivendi a mettere in portafoglio una quota del 29 per cento (9,98 per cento come partecipazione diretta e 19,94 per cento attraverso la controllata Simon Fiduciaria) del capitale Mediaset. A gennaio c’è stata un’altra puntata del braccio di ferro tra i due gruppi. Il Tribunale di Roma ha condannato la società Dailymotion al pagamento di 22 milioni di danni per la pubblicazione, non autorizzata, di 15 mila video di Mediaset e caricati in maniera illegittima. Per gli stessi motivi, Mediaset ha ottenuto 3, 3 milioni dalla società americana Veoh. Sono inoltre in piedi altre cinque cause contro il portale francese, che potrebbero portare nelle casse del Biscione circa 200 milioni.

Una causa tira l’altra. Gli avvocati di Vivendi davanti al collegio presieduto dal giudice Angelo Mambriani hanno sostenuto di aver agito “legittimamente”, giustificando il mancato acquisto di Premium con il fatto che le previsioni relative all’andamento del business della pay-tv non si erano rivelate quelle concordate. L’accordo prevedeva anche, come primo passo di un’alleanza internazionale, uno scambio azionario tra i due gruppi al fine di realizzare un progetto di una media company del Sud Europa in grado di competere con i giganti delle nascenti piattaforme streaming. C’è infine la questione sollevata da Vivendi del blocco delle azioni deciso dall’Agcom per violazione della legge Gasparri in materia di pluralismo e di calcolo del cosiddetto Sistema integrato di comunicazione. La Corte di giustizia europea ha dato ragione a Vivendi. L’Italia deve rivedere la legge sulle telecomunicazioni. Ma nel frattempo è stata votata dal Parlamento, nel decreto Covid, una norma contro certe scalate e Vivendi, tra azioni in Mediaset e come primo azionista in Tim, supera tutti i paletti.

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